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Maria Antonietta a Trastevere

Maria_Antonietta_TeatroTrastevere
[TEATRO]

Maria_Antonietta_TeatroTrastevereROMA- Maria Antonietta, regina di Francia, è un personaggio controverso, odiata e amata, osteggiata e rivalutata. È il soggetto scenico per eccellenza. Al Teatro Trastevere di Roma, fino al 6 giugno scorso lo spettacolo che porta il suo nome, per la regia di Antonio Serrano, ha raccontato le vicende della bella regina austriaca.

La scena è semplice e, inizialmente, delude le nostre aspettative, Maria Antonietta ci riporta ai fasti di Versailles forse anche più del re che fece costruire la meravigliosa reggia, Luigi XIV. Sul palco, invece, c’è solo una grande ruota che diventa porta e ambiente unico, senza orpelli se non pochi panneggi. La grande ruota accoglie la giovanissima Maria Antonietta inviata a soli quattordici anni in una terra straniera in cui doveva diventare regina. Tutto in lei deve cambiare, tutto in lei cambierà. Sono due le protagoniste in questo ruolo, Camilla Alba e Costanza D’Ardia, la prima è la giovanissima principessa che è presa da un destino che non comprende e che non saprà gestire. Piccola e speranzosa, Camilla Alba, è forse, nonostante l’età, troppo rigida e non ci regala quello che da una bambina, anche se regale, ci aspettavamo.
La spontaneità, la joie de vivre, invece, la ritroviamo nella Maria Antonietta adulta. La Maria Antonietta del Petit Trianon, della collana di diamanti che fu protagonista di uno dei molteplici scandali che tormentarono la vita della regina, delle Nozze di Figaro. Quella gioia di vivere per il teatro e le arti,  per tutto ciò che è bello, esaltata dalla cinematografia di Sofia Coppola e dai costumi da Oscar di Milena Canonero, sul palcoscenico del Teatro Trastevere sono nei guizzi di Costanza D’Ardia, che sa far creare quella luce viva e accesa di una sensibilità che, per forza di cose, immaginiamo vicina. E poi, sempre, la D’Ardia sa onorare la figura di una madre, di una donna che deve affrontare il patibolo, di una sovrana di un regno che non scappa da questo e che ricorda gli insegnamenti dell’imperatrice sua madre e sa guardare il suo destino. Un destino retto dalla scenografia che ha ruotato per l’intero spettacolo, trasformando la delfina in regina, la donna in madre. Una ruota che termina il su giro in un rosso sanguigno, dopo le urla della folla, che invade la platea, la coinvolge, la porta sul palcoscenico al fianco della regina.

Come non poter essere clementi con quella giovane donna presa dagli eventi? I pamphlet la dipingevano traditrice, spendacciona, in una crisi epocale, che fu la sua condanna, noi, ancora una volta, la vediamo, in questo spettacolo, bella, fragile e, a distanza, riusciamo a perdonarle le debolezze, così, come non sapremmo fare di un nostro contemporaneo. Anche qui, di fronte al palcoscenico, compatiamo i suoi capricci, la sua fiducia per chi le fu vicino, la sua non lungimiranza. Sappiamo come finisce la storia, conosciamo già il percorso di quella ruota.
La macchina di Michele Magoni è più che una scenografia. La ruota aiuta a seguire l’unica protagonista di questa storia. Una donna che doveva essere salvata per non diventare un mito. Il suo consorte non compare per nulla,  è lei unica protagonista di un destino fatto di cortigiani, e nobili troppo vicini, o troppo lontani.
Quella scenografia che ci parve semplice e povera all’inizio si è rivelata la semiotica di un intero spettacolo, un nuovo e semplice quadro per raccontare la vita e la morte di una regina.

Rossana Calbi

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