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Il laureato, lo sbatti-uova, il salotto, il calcestruzzo

il7
[IL_7 SU…]

il7Max Trani, laureatosi in filosofia per dare dei problemi all’anima e farla riflettere oltre la soglia delle comode convenienze, ad un certo punto ha sentito più urgente del solito la chiamata verso la carriera musicale ed ha preso la pillola rossa di Matrix, quella che consente, a costo di qualche sofferenza, di avere la consapevolezza di scegliere.

Ma non necessariamente di sbagliare, visto che sin dall’inizio, dagli esordi da quattordicenne, ha scelto come compagni di cordata grandi musicisti che fossero anche altrettanto grandi amici, senza appesantirsi con sovrastrutture che inquinano i rapporti poco prima di far naufragare le collaborazioni. Dopo una lunga frequentazione di sonorità blues, Trani si concedeva escursioni Max_Traninell’ambient come nel caso di “Bagliore”, brano- soundtrack di un video creato dal grafico fumettista Lapisanplus, che gli è valso il primo premio al concorso Nuovi Talenti Rai (Novembre 2009), in cui riduceva il suo blues ad un’atmosfera impalpabile retta su suoni galleggianti nel vuoto di stanze di una casa di cartone sospese in una paralisi esistenzial- minimale. Ma a seguito delle sue perlustrazioni artistiche europee (è stato a Londra ed ha vissuto a Parigi) l’artista, che ha al suo attivo circa 250 esibizioni live in 3 anni, ha pensato di dare una dimensione più aggressiva, diretta e immediata – grunge! – alla sua musica, accentuandone la dimensione internazionale al punto di rivolgersi ad una etichetta europea (non ancora resa nota) per l’uscita del suo prossimo disco. Intanto, “Black man” si è sviluppata partendo da un intro ripiegata in un angolo a contarsi le ferite cercando di curarle con un arpeggio rotondo, dolente e incantato da cui la sezione ritmica e la voce cercano di issarsi per trovare un riff pesante come sa essere la vita e buttar giù duro un discorso sui diritti di essere vero senza che sistemi oppressivi ci ottenebrino le prospettive. Le frenate nel ritmo e nel raspare della chi-tarra sono il preludio ad un assolo distorto che sfuma di nuovo nel drumming, prima della ripresa della struttura e del ruvido cantato. “Faraway” sgomma via da una distorsione lancinante, si lancia in un ritmo da assalto alla locanda del Montana, poi fondandosi su un piccolo riff ritmico, segna il voltarsi a destra e sinistra su uno sterrato bagnato dalla pioggia alla ricerca di qualcosa di perduto come questa voce o l’amore, mentre la chitarra, suonata dallo stesso Max, prima fa scaturire scariche, poi trova il modo oscuro di lanciare la composizione in un galoppo ritmico al di sopra di un sottofondo fangoso e rabbioso su cui la Diane d’epoca si arrampica, seguendo piste che portano lontano, senza però che l’angustia d’un incertezza strascicata si tolga da sotto agli stivali. Arpeggi prensili, impasti sonori pregni e voce sofferta di chi tiene duro, nonostante i giri a vuoto, con il giusto colpo di grinta in canna!

Maria_teresa_dAliseMaria Teresa D’Alise reagisce agli inceppi di meccanismi non meritocratici che ostacolano chi fa la propria gavetta schiumando sudore dalla fronte e dalla schiena piegata, e senza il necessario rispetto da parte di impresari sbatti-uova, gridando con un’ottima vocalità la sua insofferenza in “Vasco aiutami tu”, hit contro l’omologazione  del sistema musicale, contro le palette da ferroviere che esasperano il traffico dei talenti ancora sommersi e sbarrano i binari ad ingegni pur sfer-raglianti, come quello della ormai venticinquenne cantautrice. La sua eliminazione alla prima pun-tata di X-Factor, nonostante il supporto di una incolpevole Mara Maionchi, ha creato un caso de-gno dei più celebrati commissari delle fiction italiane, sicuramente insabbiato da quelle eminenze grigie che stabiliscono a priori quale dev’essere il modello di riferimento da imitare, senza mini-mamente tentare di tenere in incubazione personalità che già da sè hanno una chiara idea di co-me vogliono presentarsi e di che direzione artistica vogliono prendere. Ma ormai è chiaro che la flessibilità è solo pretesa, ma non offerta, dai guru che orientano il mercato con occhialoni da miope. Il gusto per il rock classico anni 70 dei Led Zeppelin, e per gli adrenalinici Van Halen si accompagna all’apprezzamento a 360 gradi della rock star nostrana più vigorosa, quel Vasco Rossi di cui appunto, in quanto esempio di coerenza, la cantautrice invoca un aiuto perchè le è rimasto solo Youtube per raggiungerlo, ed ottenere un giudizio davvero illuminato, anche se in-tanto, per testimoniare quanto sa “sbattersi” da sola, già ha provveduto nel 2009 a laurearsi in Comunicazione d’impresa e a dotarsi d’ironia ed autoironia grazie alla partecipazione al progetto Gnometto Band, band comico-demenziale con cui collabora dal 2003. Il brano è comunque un messaggio accorato e ben più che dignitoso con cui l’artista mette in mostra, su un’arrangiamen-to deciso ed orecchiabile che sembra orchestato per giungere a destinazione in modo convin-cente, una voce che non si pone limiti interpretativi, dalla strofa fino al ritornello, ed è ben difficile che, al netto di tare mentali, uno si senta di consigliarle di “tornare a fare la commessa”. “Gli spari sopra sono per voi!”, canta Vasco.

Another Circus vantano influenze che spaziano all’interno del post rock tra new wave, elettronicaAnother_Circus e indie “avanzata”, dai Joy Division ai Radiohead passando per i Depeche Mode ed i Queens of the Stone Age, e creano una costellazione di suoni da cui emerge una verve da sensitivi che li mette a contatto con i desideri di un pubblico che al gran circo del rock contemporaneo ha iniziato da tempo a chiedere qualcosa in più che non i riadattamenti dal grunge. Questo è presumibilmente il motivo per cui questo nuovo, diverso circo sonoro si giova, oltre che delle necessarie chitarre, anche di piano e synth e synth modules usati per compiere acrobazie senza rete tranne quella composta dai nodi di un tempo curvo che si piega sotto il pulsare delle loro sode strutture compositive, intrecciate a partire da fili interiori che collegano emozioni sospese. Il respiro è quello internazionale di gente che, comparsa come autori, produttori, arrangiatori e performers per nomi come Take That, Nek, Lene Marlin, Gianluca Grignani, Velvet, sa sintonizzare il proprio mood sia su atmosfere new romantic sia sull’onda di sfrontatezze massive hard core. Le loro composizioni nascono spesso, a loro dire, da un giro di basso, da note gettate, ma noi aggiungeremmo un piatto caduto o l’asta storta d’un microfono penzolante. Infatti “These Tears” si sviluppa su un contrappunto di chitarra ritmica su cui si incastonano, oltre alla voce, robusta e “responsabile” di tonalità pensose sulle tonalità basse, dei suoni più acuti che poi sprizzano verso un ritornello aperto ma disperato, mentre il bridge è un ripiegamento sofisticato, come il finale, che placa il ritornello esteso. “Tonight” è una ballata inizialmente per chitarra ed una voce partecipe di una oscurità morbida che va “cantata” con il giusto torpore, per poi impennarsi, complice la chitarra solista, verso struggenti sollevamenti d’umore creati a partire da pozze di quiete in cui la chitarra sparge perle di delicatezza. Simili incanti punteggiano anche più nettamente “The streets”, conferendole, con il sussidio del basso, quel tono nostalgico che ci fa pensare a quando le strade erano ancora un “playground” per chi sognava la carriera di calciatore buffo. “Just choose” è invece d’una ineffabile morbidezza pop, in trepidazione attorno ad una voce che chiama gli inserimenti degli strumenti come in una convention amorosa in un salotto apparecchiato alla bisogna da una penombra sexy ma triste, ed è autentica classe.

La_furia_del_signor_BananaLa furia del signor Banana al di là del nome pittoresco che promette scatti di nervi ed irrigidi-menti bellicosi di organi sessuali Ciquita, hanno edificato dei sistemi ad incastro organizzati in modulazioni psico-meccaniche. “No way out” è un rock polveroso e strumentale che si inabissa in celle rugose per mostrare, a partire da una robusta chiave armonica a base di riff potente e grave di chitarra e punteggiamento incessante del basso, la claustrofobica alienazione del figlio di Bossi, finito in qualche modo a Guantanamo a farsi schiacciare le tibie: metafora senza via d’u-scita di quelle culle dorate che a volte si ribaltano in gabbie senza speranza quando uno è figlio d’arte e soffre la personalità di un’ingombrante papà. Ma il drumming elaborato e il conguaglio di deliri messo su dalla chitarra solista nell’impalcatura costruttivista alla fine si rivela solo come un brutto sogno: la Padania è salva! Anche “Folk” inizia come un macigno satanasso gettato nel fiume degli impedimenti psicologici, ma poi si scopre avere degli intermezzi più quieti, arpeggiati con ottima tecnica, come anche le sezioni più tonitruanti, d’altronde. La schizofrenia suggerita an-che dal titolo incongruente è un un gustoso power indie, terrificante ma molto ben “costruito” su cattedrali di fiele e progressioni tese e macinate da meccanismi imprescindibili dal dolore, che avanzano a scale superando gli scalini a tre a tre con passo di piombo salvo poi illuminare le contorsioni con cambi di ritmo e paranoie pesanti come incudini tagliate col tornio, che si espandono in un corrugato clamore (“Extension”)! “Spring Roll” è meno incatenato a piloni di calcestruzzo in movimento, ma piuttosto si divincola, con giri malati di chitarra solista, da un arpeggio ipnotico inquietante che ci introduce a pinnacoli di carne essiccata attorno a cui fissazioni allucinate si concatenano in spirali che creano una cortina di rimpianti acidi nel chiuso di impianti d’archeologia industriale in cui le sonorità magmatiche della furia del signor Banana echeggiano rigide, prima di stingersi, in chiusura del brano, come un velo di muschio portato in superficie sotto un rullo caldo di primavera artificiale (http://www.myspace.com/lafuriadelsignorbanana). Tutto ciò induce senz’altro a stati di contorta soddisfazione! 

Il_7 – Marco Settembre

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