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Testa di latta

Testa_di_Latta_Foto
[TEATRO]

Testa_di_Latta_FotoROMA- Messa in scena originale per un moderno Pinocchio al Teatro Vascello, che al posto di un fisico di legno ha arti e corpo di latta. Come un fulmine, diede vita allo shelleyano “mostro” (mostro solo perché diverso, n.d.r.), così i personaggi di questa storia, grazie al motore di una macchinina telecomandata rotta, assemblano Testa di latta, un robot che improvvisamente inizia a muoversi autonomamente quasi spinto da una forza divina.

La famiglia che vive con questo essere, non intende modificare il suo stile di vita, vede anzi sconvolta la propria esistenza in intimità e libertà di movimento, anche per il fatto di dover contenere il desiderio di conoscenza della macchina che si rivela in alcuni aspetti più umana di molti umani.
L’unica che riesce a far breccia nel “cuore” dell’ingenuo Testa di latta è la giovanissima vicina di casa, la bravissima attrice Camilla Diana, che alla luce della luna, tenta con ingenua grazia di spiegare le funzioni base che regolano le società moderne in un mondo che prosegue la sua folle e inesorabile corsa: cerca di chiarire l’idea di matrimonio, di coppia, tenta di educarlo al vivere civile. E il pubblico si rende conto di come molte di queste regole, risultino insensate e sciocche solo al momento della loro spiegazione.

La gestualità degli attori risulta contenuta, ma nello stesso tempo priva di staticità, le scenografie Testa_di_Latta_leggeracome i costumi, nella loro semplicità veicolano il senso profondo della drammaturgia: cosa è diverso e cosa è normale; cosa può dirsi vivo e cosa non lo è. È vivo solo un essere che pensa? È vivo solo un essere che respira? È vivo solo un essere che reagisce agli stimoli esterni? Al pubblico si lasciano considerazioni di sorta, perché il teatro è fatto per porre domande e non per distribuire risposte preconfezionate.
Le scene procedono attraverso brevi capitoli presentati con ironia e semplicità penalizzate però dai tempi eccessivamente lunghi dei cambi scena che fanno perdere un poco di aderenza con la poesia del testo.
Il finale, un accecante faro verso una ipotetica e speranzosa partenza nello spazio della conoscenza, lascia un po’ di amaro in bocca ma in fondo ciò che deve risultare è la decisione di lasciare ogni cosa e partire per un’avventura che non sia solo fisica ma soprattutto mentale; un viaggio che, nonostante possa sembrare pericoloso, contempli esperienze sempre nuove.

Emanuele Truffa Giachet

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