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Marianne Werefkin, la signora di Ascona

shiba
[GRAFFI(A)TI AD ARTE]

shibaIn un paesino tra le montagne svizzere, mitigato dal Lago Maggiore, c’è una città che da molti fu definita magica e che per certi versi, indubbiamente, lo è stata se è riuscita a far confluire nelle sue vie i maggiori artisti del ‘900.

Ascona fu nei primi del ‘900 il centro culturale di rifugio per personaggi come Hermann Hesse che lì e, non in India trovò il su Siddharta, e Gusto Gräser, che lì condusse la sua amica ed estimatrice Marianne Werefkin (1860 – 1938).

Fino al 14 febbraio 2010 le opere dell’artista espressionista sono ospitate al Museo di Roma in Trastevere nella mostra Marianne Werefkin, L’amazzone dell’Avanguardia.
La curatrice della mostra Mara Folini ha indicato in un percorso di ottanta opere la vita e il cammino artistico di una donna che divenne la madre di Ascona.
Un donna di nobili origini, cresciuta in un ambiante militare, il padre era generale della Fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Si avvicina all’arte e da subito diventa la “giovane Rembrandt russa”, che dell’Impressionismo cattura tutte le sfumature e la tecnica.

Studiosa dell’arte e non solo, conosce e ama Alexey von Jawlensky, lui che iniziò a dipingere avemaria_Werefkingrazie a lei, diventerà più famoso della stessa Werefkin. Il loro legame durerà trent’anni e cambierà le prospettive della loro vita. Abbandonano entrambi le vite stabilite dalle famiglie per scegliere di vivere nell’arte.
A Monaco la loro casa diventa il luogo dove gli artisti e la nuova arte si incontrano. E Marianne si ferma. Ferma la sua produzione per quasi dieci anni. È Jawlensky che in quegli anni cresce artisticamente. Mentre Marianne diventa sempre più donna del suo tempo. Fa scelte coraggiose come quella di non avere figli.
Studia moltissimo ed è lo sprone di ballerini come Alexander Sacharoff, che indeciso tra la pittura e la danza si abbandonerà al movimento proprio nel salotto della Werefkin.
Dovunque lei andasse portava con sé uno stuolo di artisti. Così ad Ascona, dove era costretta a negarsi per evitare i giovani che la cercavano. Lei, la “signora dai cappelli strani”, che dalla Germania si trasferisce in un piccolo borgo, saprà amare quella terra e riconoscerà la forza di quei luoghi nei suoi dipinti. Ad Ascona, la Werefkin torna a dipingere. Il suo misticismo, conoscerà punte di esaltazione profonde, sotto il monte che aveva accolto i vegetariani e i balabiott, così venivano chiamati gli strani personaggi che brulicavano ad Ascona.

Tra i contadini si muovevano Charlotte Bara con le sue danze macabre, e Otto Gross, il “profeta” del matriarcato, e questa donna di nobile stirpe che, secondo le letture più contemporanee, ispirò Munch nella sua visione distorta e angosciosa dei volti.
Ma Marianne vedeva sempre la luce e l’esaltazione oltre la contingenza. Nei suoi quadri il monte è una figura costante o la luce che viene dall’alto a cui si deve tendere.
Le metafore sono a volte semplici altre più complesse. La Stimmung, che tradurrò malamente con umore, è nei suoi quadri rosso e blu, è il colore che crea l’identità del quadro, è la sensazione di unità dell’immagine nella sua pittura, è l’atmosfera di un posto e di chi compone e costituisce quello spazio.
La Stimmung dei suoi quadri è compatta e frammentata da pennellate, si confonde con le figure che straforma. Diventa la materia del quadro, non lo è più la figura umana che è scoperta in quegli anni dai raggi x e dalla cinematografia. L’umanità deve essere per la Werefkin legate alle sensazioni.
La “signora  dai cappelli strani” è a Roma con un raccolta di lavori che la rappresentano più intensamente.

Rossana Calbi

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