Italiani, nei secoli fedeli (ai clichè)
[TEATRO]
MILANO- Il 2010 sarà un anno importante per il nostro Paese: l’Italia, infatti, dovrebbe festeggiare i 150 anni della sua Unità. Ma mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo: l’attesa infatti potrebbe anche rivelarsi vana, considerate le aspre polemiche e i soliti ritardi che aleggiano sulla macchina organizzativa dei festeggiamenti.
Forse è per questo motivo che Maurizio Micheli e Tullio Solenghi hanno deciso di giocar d’anticipo portando il scena Italiani si nasce e noi lo nacquimo, spettacolo scritto a quattro mani e in scena al Teatro Nuovo fino al 13 dicembre. L’obiettivo dei due autori/attori è alquanto ambizioso: riflettere con ironia sugli aspetti che più caratterizzano l’italiano medio, aspetti che, a loro avviso, non mutano di secolo in secolo, ma si ripropongono identici senza soluzione di continuità.
Partendo da questo presupposto, la scena si apre con un sindaco, con tanto di fascia tricolore, che annuncia al pubblico in sala l’imminente inizio di uno spettacolo celebrativo per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Lo spettacolo, assicura il primo cittadino, è di gran valore, in quanto scritto da un valido autore locale, nonché assessore alla Cultura della sua giunta. Si apre così il sipario su un’anonima piazza, resa italiana dalla presenza di due monumenti tipicamente nazionali ossia quello di Garibaldi e Vittorio Emanuele II. La compagnia però si ribella al pomposo testo iniziale, dal titolo La patria crogiuolo di libertà, per mettere in scena un altro spettacolo, che ha registrato il tutto esaurito niente poco di meno che in quel di Cerignola. Il sindaco, ob torto collo, è costretto a piegarsi alla volontà degli attori che minacciano di ricordare agli elettori i suoi guai giudiziari legati alla costruzione di un fantomatico inceneritore. E fino a questo punto lo spettacolo sembra esser promettente, peccato però che stavolta non sia valso il noto adagio secondo cui il buongiorno si veda dal mattino.
Come pre-annunciato, infatti, il teorema che si vuol dimostrare è che l’italianità sia riscontrabile in tutte le epoche storiche, dai primordi fino ai giorni nostri. Vanno così in scena una serie di sketch che vedono come protagonisti Solenghi, Micheli e altri sei attori, travestiti in vario modo. Si inizia con un Adamo siculo ed una Eva partenopea, per poi passare ad alcuni grandi protagonisti della nostra storia come Leonardo, Colombo, Casanova, Leopardi, senza dimenticare anche i più umili come due cristiani che stanno per essere sbranati dai leoni del Colosseo e che poi diventano, loro malgrado, due santi alla continua ricerca di fedeli. Il primo tempo e parte del secondo va via tutto così, con alcune scenette davvero imbarazzanti non perché volgari, ma per il tenore davvero modesto di certe battute e per la riproposizione di clichè triti e ritriti sugli italiani. La seconda parte invece è quella più interessante, anche dal punto di vista “antropologico” visto che parte da una domanda intrigante ossia: «Quale sarebbe la reazione di Garibaldi e Vittorio Emanuele II se oggi si risvegliassero e percorressero l’Italia che con fatica, coraggio, abnegazione sono riusciti a fondare come nazione?». Da questo interrogativo prendi il via il surreale dialogo tra le statue dei due padri della Patria che capeggiano in scena. Ad un certo punto i due però, stanchi di star lì alla mercé dei piccioni, decidono di scender letteralmente dal loro piedistallo e di andare in giro per l’Italia tra l’iniziale stupore di tutti…solo iniziale però, perché pian piano il sistema mediatico-politico tenterà di assimilarli fino all’inevitabile epilogo.
Nonostante tutti gli sforzi profusi però, la prima domanda che mi son posto alla fine della rappresentazione è stata: perché? Perché un attore come Solenghi, che recentemente ho avuto modo di apprezzare in uno spettacolo di pregio come L’ultima radio ha partorito un testo così insipido? Perché un altrettanto valido attore come Micheli, mattatore di un gioiello della comicità come Mi voleva Strehler, ha contribuito a tutto questo? Sono domande a cui sinceramente non trovo risposta. Certo, lo spettacolo richiama alla lontana quel teatro tipicamente italiano che è il varietà, grazie anche alle belle musiche di Massimiliano Forza, alle caratterizzazioni, ai trucchi, ai dialetti, ai travestimenti, ma alla fine del primo tempo ho avuto come l’impressione che quello che stava andando in scena, più che la fusione tra la rivista classica di Petrolini e Totò e la successiva rivista d’autore, fosse una versione edulcorata dei varietà targati Bagaglino. Quel che è certo è che da un cast simile, che si avvale anche di contributi di spessore come quelli di Marco Presta e Michele Mirabella oltre che della regia di Marcello Cotugno, mi sarei aspettato battute più graffianti e meno scontate. Inoltre alcune scelte artistiche mi hanno lasciato alquanto perplesso, come quella di portare in scena un Leonardo fin troppo ostentatamente gay. Scelta quest’ultima talmente tanto discutibile da portare lo stesso Solenghi-Garibaldi ad esclamare dal suo piedistallo: ”Mamma mia, quel Leonardo lì non si poteva proprio guardare”. Battuta scritta a tavolino o classico caso di lapsus fraudiano? Ah, saperlo…
Christian Auricchio
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