Ryuichi Sakamoto: voli sentimentali
ROMA- 28 ottobre, Auditorium Parco della Musica, sala Santa Cecilia. L’occasione è una collaborazione stretta tra l’organizzazione del RomaEuropa Festival e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (che ringraziamo particolarmente per l’invito omaggio) con il patrocinio dell’Istituto Giapponese di Cultura di Roma. L’evento è “lui”: Ryuichi Sakamoto e la sua musica, finalmente di nuovo in Italia per un concerto.
Il mio primo approccio consapevole con la sua musica non è tanto lontano nel tempo e risale a circa due anni fa, quando un amico in visita a Roma mi fece ascoltare un suo Cd e fu amore a primo ascolto. Da lì mi resi conto che in molti film avevo già fatto la sua conoscenza, mentre, a livello di istinto, di amore istintuale per la musica, non potevo non apprezzarlo per la sua evidente apertura mentale, per la sua innata capacità di far parlare i tasti bianchi e neri del pianoforte, ma anche per la sua innegabile ed inestimabile capacità di fare della Duty Free Music: una musica finalmente libera dai doveri, che fa parlare in primo luogo l’anima, il cuore.
La Sala Santa Cecilia era piena, il palco pieno solo del gran coda da concerto e del Maestro. Inizio soft, quasi per intenditori di sperimentazioni, comunque solo per coloro che non si sono lasciati interdire dal suono di sottofondo dell’acqua che scorre e dalle note ripetute fino all’ossessione, in quello che è stato un avanzamento multimediale ambizioso che ha coinvolto musica, suoni e immagini sfocate sul megaschermo nello sfondo. Ma la tecnologia ancora una volta era presente sul campo a dare man forte alla necessità di sperimentazione del Maestro Sakamoto: il pianoforte sul palco era collegato elettronicamente ad un altro gran coda, ogni frase suonata da uno strumento poteva essere trasmessa all’altro, e le ripetizioni di sequenze musicali collegate, controllate da Sakamoto, sono diventate una sorta di tessuto musicale, un vero e proprio tappeto sonoro su cui costruire nuovi fraseggi paradisiaci.
Playing the piano, segna il ritorno live di Sakamoto a Roma, dopo più di 10 anni di assenza, in un “tu per tu” davvero eccentrico e avveniristico con il piano, dove la musica diviene una materia fluida, in costante movimento, in continua trasformazione che si muove in un complesso ordinamento di sistemi molto comunicanti tra loro.
Ryuichi Sakamoto è uno dei grandi pionieri delle contaminazioni tra musica tradizionale d’Oriente e avanguardie elettroniche occidentali. Pochi come lui sono riusciti a spaziare tra generi diversi senza perdere la propria bussola artistica: dal pop alla dance, dall’ambient alla bossa nova, dall’etnica alla classica. In testa dice di avere una specie di mappa culturale, che gli permette di trovare analogie tra mondi diversi; sicuramente aver studiato all’Università di Musica e Belle Arti di Tokyo, dove si è laureato in composizione ed ha conseguito un titolo post-laurea focalizzato sulla musica elettronica e sulla musica etnica, ha avuto il suo peso nelle sue scelte. Inoltre le collaborazioni varie e prestigiose che hanno segnato la sua carriera (David Sylvian, Iggy Pop, Caetano Veloso, Thomas Dolby, Youssou N’Dour tanto per citarne alcuni) rappresentano un altro evidente bisogno di agire liberamente sulla e con la musica che gli nasce nelle viscere.
Il suo essere mestierante di scrittura musicale, gli è valso già un Oscar nel 1987 per il film L’Ultimo Imperatore di B. Bertolucci e la creazione di più d’una colonna sonora nota.
Ed è stato proprio questo il percorso che è stato fatto nel corso del concerto di Roma: un percorso storico a ritroso nel tempo, in cui abbiamo ritrovato andando avanti nel concerto, l’anima magica della musica di Sakamoto, il suo talento genuino e chi non ha avuto la forza di aspettare credendo in un flop del Maestro giapponese, avesse continuato ad ascoltare, avrebbe ritrovato nelle note musicali che si sono snodate nell’arco delle due ore e mezza abbondanti di concerto, proprio il suo essere più puro, più intimo, come quello di “Energy flow” o di “Bolero”, proprio quello che tutti in quella sala sentivano di voler ascoltare.
Ben tre bis concessi al pubblico che non accennava minimamente a volerlo lasciar andare via: uno spirito gioviale e generoso, una forma smagliante, che hanno trovato come contraltare un pubblico di accaniti sostenitori (italiani e non) che non hanno ceduto un attimo fino alla strepitosa interpretazione di “Sheltering Sky” e di “Forbidden colors”, l’ultimo uno dei suoi primi e maggiori successi che vale la pena ascoltare almeno una volta nella vita dal vivo … (http://www.youtube.com/watch?v=mFYNfgrjUVI).
Un concerto che è stato un sogno ad occhi aperti. Peccato solo per chi non ha saputo capire che la vera musica vale un sacrificio, che i voli sentimentali non sono cosa da niente. Per tutti gli altri, integri e al loro posto in sala: bè, ne è valsa veramente la pena…
Edyth Cristofaro
Accademia Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica, Edyth Cristofaro, martelive, martemagazine, musica, Report Live, Ryuichi Sakamoto