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Il Cyrano de Bergerac di Massimo Popolizio

Cyrano

CyranoROMA- Filosofo, naturalista, maestro d’armi e rime, musicista, viaggiatore ascensionista, amante anche: senza conquista. Stiamo parlando di Cyrano de Bergerac il noto eroe letterario creato dalla penna del francese Edmond Rostand e  in scena al Teatro Argentina di Roma fino all’8 novembre. A vestirne i panni è un brillante Massimo Popolizio, affiancato da Luca Bastianello e Viola Pornaro, e  diretto da Daniele Abbado.

Cyrano non ha bisogno di presentazioni, la sua fama lo procede proprio come il suo naso, simbolo di diversità e imbarazzo, ma anche marchio di libertà e indipendenza.
Cyrano è un acrobata della parola, un funambolo del verso, uno scontroso spadaccino dal lunghissimo naso, un asceta della poesia che si batte per  testimoniare la vera, profonda libertà dell’arte.
La sua abilità con la spada è pari alla sua passione per i versi e per i giochi di parole, con i quali ama mettere in ridicolo i suoi nemici.

L’opera teatrale, ispirata all’estroso scrittore seicentesco Savinien Cyrano de Bergerac, precursore della letteratura fantascientifica, narra dell’intreccio tra amore, guerra e poesia. La passione per la bella cugina Rossana è il fulcro della vicenda, un sentimento  che stravolge il protagonista e allo stesso tempo lo mette a confronto con i suoi limiti: a causa del suo goffo aspetto Cyrano deciderà di non rivelarsi. L’unico modo che gli rimane per amare la cugina è quello di vivere all’ombra dell’attraente Cristiano, innamorato anch’egli della donna, ma incapace di corteggiarla. Per lui si improvvisa “suggeritore d’amore”, scrivendo lettere e poesie e facendogli così conquistare il cuore di  Rossana. La guerra tuttavia interromperà questo strano triangolo amoroso di cui rimarrà comunque inalterata la devozione e la purezza esemplare del nostro eroe, Cyrano, un combattente già sconfitto in partenza, che, però lotta fino alla fine contro un destino tragicomico. La follia poetica per lui sembra l’unica via di fuga proprio come avviene per altri due paladini a lui affini, Don Chisciotte e Falstaff.

Nel testo, la ricorrente metafora della luna simboleggia questa diversità di carattere utopico che locyrano1 spinge verso il fantascientifico senza perdere mai la componente poetica e intimistica.
L’opera di Rostand è stata tradotta, adattata e interpretata innumerevoli volte, facendo del suo protagonista un personaggio intramontabile e  romantico, ma al contempo straordinariamente moderno. Per il palcoscenico celebri Cyrano sono stati Gino Cervi, Gigi Proietti, Franco Branciaroli e, Domenico Modugno. Al cinema lo spadaccino ha avuto il volto di José Ferrer e Gerard Depardieu. La versione di Abbado appare abbastanza convincente e non fa rimpiangere i suoi predecessori. Il suo Cyrano è più vicino all’eroe perdente, a cominciare dai vestiti che indossa fino ad arrivare  al tipo di scenografia essenziale, sebbene non priva di effetti speciali.
Il regista ripropone la traduzione classica e leggendaria di Mario Giobbe, in versi, mantenendo così un ritmo ben scandito e quell’aura romantica che tanto piace al pubblico di ogni tempo. In particolare questa lettura malinconica e antieroica del protagonista, vibra di una sua moderna ragione in cui lo spettatore del XXI secolo può identificarsi senza troppi sforzi. Dopo il fortunato debutto  nella CapitaIe, il singolare spadaccino  Popolizio continuerò a calcare le scene teatrali delle maggiori città italiane, tra cui Genova, Trieste, Udine e Bologna: non perdetelo!

Loredana Sottile

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