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Il fienile, la cuccia, la maturità e il tartaro

il7
[IL_7 SU…]

il7Nicholas Barisich cerca di infagottarsi di musica per non essere sempre costretto a rispondere a domande sulla origine sua e del suo nome, sul ranch che ne ha visto i natali o sulle freeway sulle quali ha sparso i sorrisi della sua faccia ancora senza rughe.

“Respiro” è la colonna sonora di un risveglio e di una decisione presa affacciandosi sul terrazzino Nicholas_Barisichfingendo che sia un attico con vetrate aperte sulla fiducia. C’è anche un tocco leggero di chitarra solista, un assolo di sapore latino, e tutto brilla pigro in una mattina tersa in cui le idee e gli omini visti dal terrazzo sembrano muoversi su ali o rotelle: “Ho deciso di fidarmi un po’ di te… guarda il mio cuore, vuole battere per te…” E’ una ballad sopraffatta dalla mollezza acerba d’un amore ora ingenuo, che scarica sul ritornello disteso il tepore del suo ottimismo. La voce ha una tonalità in equilibrio tra le espansioni sentimentali e la fermezza di chi non vuole più farsi schiaffeggiare dal fato sciacallo: penso a “A luci spente”, un rock-bluesone corposo assai più amareggiato e aspro; su: “…ti sto chiamando ma non rispondi mai, sto cercando quella che non sei. A luci spente potevo sfiorare i tuoi sogni” la traccia viene percorsa da una schicchera elettronica che lascia a vibrare la testa del derelitto, che però poi si scarica con un assolo gustoso ma lucido, costruito appositamente per cancellare “…i tuoi segni”. Il rock classico si giova di effetti elettronici, che aumentano l’impatto ed il gusto. In “Angelo tentatore” l’armonica a bocca ed un arpeggio quasi campagnolo con la chitarra introdu-cono ad un pezzo rischiarante e cadenzato sugli scivoli delle ore del pomeriggio in Arkansas il quale infine, anche se con un effetto ronzante in sottofondo, si apre nel ritornello e diventa espli-cativo nel bridge: “Saprò gestire le emozioni che hai, saprò sentire i sentimenti che sai… sarò buono da mangiare...” la chiusura è ancora affidata all’armonica, che suggella le dolci promesse di un amante che vuol davvero prendersi cura della sua ragazza senza rinunciare ad essere nel contempo, il suo “Angelo tentatore”. “Non finisci mai” è invece un grasso rock d’annata: “corpi che si muovono …senti il profumo che hai, non finisci mai; dài, balla”. Diretti col loro pick-up non verso casa, ma al fienile dove il grano pizzicherà le gambe di lei, i due si abbandoneranno sicuramente ad un grezzume dolce ed entusiasta creato da una corrente d’amore che si muove su note recu-perate forse da The Band, tanto per dirne una.

USHAS_in_concertGli Ushas sono una band “Fuorilegge” perchè fanno i riders su Moto Guzzi finite fuori pro-duzione, si grattano la barba usando la punta degli stivali, e nascondono degli iguana dentro al giubbotto. Si lanciano all’arrembaggio delle piste asfaltate lasciandosi tutto indietro e arrotano i raggi delle loro bikers usando la dentatura d’un bufalo, oppure chitarre arroventate che più del-l’argento vivo addosso, mettono la carta abrasiva in gola ma lasciando al lead singer la carica elettrica per trovare toni lancinanti da epico centauro. Rock on, easy riders! “Il mondo è solo mio.. nessuno può venirmi dietro, sono fuorilegge e questa strada è la mia amante”. Sono tipi che, quando guardano verso il mistico Oriente, gli si indora lo sguardo e gli si impenna lo spirito fon-dendosi coi vapori d’incenso del Dharma più profondo e appagante, perchè ti sazia con quel che c’è, e se ti metti in sintonia c’è tutto l’assoluto, o almeno un po’ di tutto. Un suono ascendente, spinto su da un riff imbizzarrito come un drago ferrato delle railways caratterizza “Verso l’Est”: “I mondi ci guardano gridando libertà”; il rullìo della batteria è variegato ma in avanzamento perpetuo, l’intreccio di chitarre pare quello di un arazzo pakistano intessuto da un santone sfatto, e l’intermezzo più cheto, prima vagamente raggae, poi psichedelico, vale ad illuminare con candele l’interno della tenda in cui il rito propiziatorio si compie bevendo birra col naso. “Via della seta” conferma la vocazione al viaggio esotico in cui il Tempo si incontra sfarinato in sabbia eterna o in percorsi a spirale che s’infilano nell’”epopea del cambiamento”. I testi sono, manco a dirlo, ispirati e la voce, doppiata dal coro, scivola come la seta sulla sua via, soprattutto quando la striscia chitarristica si avvita in un coriandolo musulmano funambolico e accelerato. “Maledetta notte” è un rock ultraclassico che schioda le borchie dal giubbotto e mette di fronte alle “carezze” di poliziotti brutali che hanno avuto la sfrontatezza di fermare i ribelli dalla nascita; “Maledetta notte, voglio andare a casa mia!” sbotta il rocker pensando alla sua cuccia calda. Invece “Questo cielo la mia casa, le città sono cadute”, si ascolta in “Hobo”, che appoggia la guancia su un cuscino di stelle, la notte, su una trapunta di polverosi smanettamenti alla chitarra e si sveglia pronto a reagire anche alle serpentine ferrose più selvagge, com’è giusto che sia.

Gli Antistamina combattono contro i pregiudizi verso le creste verdi usando come antistaminico il Antistaminagel di Billy Idol, come nella brillante cover di “Rebel Yell”, ma lo addizionano di elettronica, poi trasformano l’andamento rancoroso in uno sguaiato ska, indi recuperano il contegno da sputatore avvelenato ed ecco affacciarsi il riconoscibile ritornello, e lo yeowl. Lo scazzo è un po’ tecnolo-gizzato, ma la virulenza è di quelle sbriciola-ossa, il basso partecipa al galoppo martellando un massaggio yoga sui timpani, ed il gruppo, pur se insofferente al Sistema, ci scava dentro cunicoli verso il successo proprio in virtù dell’ironia da orchestra ska messicana che strombazza insieme alla voce (da tipa pratica) di Lady Orange le rivendicazioni inesauste della precaria, il suo diritto sacrosanto ad “un impegno a tempo pieno, un lavoro serio, un impiego vero”, non “illusioni in nero” (“Maturità”). I network radiofonici stanno offrendo qualcosa di meglio, ma è sempre bene stare in guardia, e farsi raccomandare tutti i giorni dal fantasma di Joe Strummer (gli Antistamina hanno partecipato ad un disco-tributo in onore del leader dei Clash). Il loro album, “Contrasti”, oltre a proporre contrasti tra ciò che è e quello che dovrebbe essere, mira a contrastare come un vaccino l’assuefazione a ciò che non avrebbe mai dovuto essere, tipo le facce da bandito in Parlamento, e lo fanno in musica “Because you’re young”, sei in ballo, e puoi ballare. Sarà una “Libertà apparente”, ma suona bene, così eversiva.

The_CiaffisThe Ciaffis
, a chiamarli così, sembrano una famiglia di italo-americani paciocconi presi di mira dai figli piccoli dei più noti “Soprano” che li attaccano da dietro per tirargli i… ciuffi(s)! Ed invece si tratta di un gruppo musicalmente ispirato ai Tre Ragazzi Morti; tuttavia non è pensando a questi tre, ma piuttosto alle vere tristezze che gravano sul mondo, che hanno aderito ad un progetto tra musica e diritti umani appoggiato da Amnesty International. La tecnica di registrazione non è ottimale, ma la verve indie dei Ciaffis costringe gli impiegati dell’anagrafe a ricontrollare i propri documenti per capire chi sono veramente (“Waiting for the mood”). “Another dawn”, Un’altra alba, ci assiste con la sua struttura grunge-psichedelica mentre aspettiamo il sorgere di una ciambella zuccherata sulla faccia del portiere impiccione, quando domani scenderemo in strada a control-lare che un buco nero non si sia ingoiato anche le bombe alla crema, oltre al pianeta più conte-stato dell’universo. Le sonorità, comprese le scelte di drumming, possono ricordare infatti quelle dei primissimi Pink Floyd, per esempio quelli della soundtrack del film “More”, ma in “Bricks of my mind”, sono presenti solo come santino intoccabile, mentre domina piacevolmente la struttura tipica dei Pearl Jam da college – una sorta di trance controllata chiusi al buio da soli nel laboratorio di chimica con la compiacente brunetta figlia del prof affascinata dalla severità di certe nostre rivelazioni apocalittiche sulla natura dell’universo erotico – puntellata da un assolo snodato come una scolopendra, e mista a vertiginose intonazioni orientaleggianti tipiche di un tartaro che ha accumulato tante carie da avere la visione dei mattoni del suo cervello che si sgretolano.

Il_7 – Marco Settembre

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