Castanets + The Drones
[MUSICA]
ROMA- Il Circolo degli Artisti di Roma si conferma ancora una volta un eccellente palcoscenico per ospitare nomi di rilievo della musica internazionale. Lo scorso 15 ottobre il live club romano ha ospitato due band di punta della scena rock mondiale: gli australiani Drones e il gruppo-progetto dell’eclettico musicista americano Raymond Raposa, i Castanets.
Sorta di menestrello dei giorni nostri, Raposa si inserisce in un filone cantautoriale ben preciso, quello del freak folk, noto anche come psychedelic folk corrente musicale nata negli States tra il 2003 e il 2004.
Gli altri membri della band sono estremamente variabili, tanto da cambiare anche nel corso di una stessa serie di date, ma definire questi musicisti come dei semplici turnisti sembra riduttivo, pare piuttosto che ci sia una volontà di far rivivere le stesse canzoni ogni volta con una pelle diversa. Colpisce stavolta la presenza di una batterista: fatto non più rarissimo, ma certo non del tutto comune.
Le atmosfere create dai Castanets avvolgono i presenti, per merito delle melodie tipicamente american style e della voce di Raposa, che ricama nell’aria le emozioni e i dolori dell’America contemporanea.
Sono americanissimi, i Castanets, lo si percepisce immediatamente. Basti citare alcuni dei pezzi proposti, da “As You Do” (dall’album del 2004 Cathedral), a “Dancing with Someone (Privilege of Everything)” (dall’album del 2005 First Light’s Freeze), passando per “Strong Animal” (dall’album del 2007 In the Vines).
Seguono a completare la serata gli attesissimi Drones, in Italia per presentare il loro nuovo lavoro Havilah in una mini tournée di tre date che li ha portati anche a Milano e a Torino.
La band australiana (Gareth Liddiard – chitarra e voce; Fiona Kitchin – basso; Dan Luscombe – chitarra; Michael Noga – batteria), ha un curriculum di tutto rispetto: 5 album in studio, 2 live, svariati singoli e una vastissima serie di date, dapprima solo in Australia e poi in tutto il mondo. Niente male per quasi dieci anni di attività.
La maggior parte dei brani proposti (tra cui “River of Tears”, “The Minotaur”, e “Nail it Down”) sono tratti appunto da Havilah, disco uscito in Australia circa un anno fa e da qualche mese disponibile in tutto il mondo.
L’ascolto dei pezzi, soprattutto dal vivo, conferma la difficoltà di classificare in un genere preciso una band che ricalca senza dubbio la migliore tradizione del rock’n’roll inteso come attitudine musicale.
La presenza scenica del gruppo è inconfondibile: i movimenti convulsi e intensi del frontman Liddiard, e la Kitchin che suona quasi per tutto il concerto di spalle al pubblico, identificano la band, oltre ai testi politicamente impegnati e la loro pronuncia così australiana da risultare troppo spesso del tutto incomprensibile. Vezzi e vizi da artista, insomma.
Chiara Macchiarulo
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