Nothing damaged: una notte con i Nine Inch Nails
[MUSICA]
ROMA- Annunciata a sorpresa a fine aprile, attesissima proprio perché inaspettata, la data romana dei Nine Inch Nails è stata un autentico evento per gli appassionati del genere e per i numerosi fan della band.Fatto dovuto senza dubbio anche all’annuncio di Trent Reznor, leader carismatico e anima assoluta del gruppo, di un imprecisato periodo di pausa dai live alla fine di una tournée, che ha portato il gruppo in giro per l’Europa e gli Stati Uniti e che si concluderà solo a settembre.
Lo scorso 22 luglio la band americana si è esibita sul palco del Rock in Roma, insieme agli Animal Collective e ai TV on the Radio, per un totale di cinque ore di musica davvero emozionanti.
I Nine Inch Nails, da vere star, si fanno un po’ attendere: decine di tecnici si alternano sul palco per portare, montare e controllare le strumentazioni; poi prove luci e tutto il resto. Svariate le occasioni in cui sembrava che la band stesse per iniziare lo show da un momento all’altro. Situazione non proprio piacevole.
Ma, col senno di poi, e considerando lo spettacolo di altissimo livello con cui i Nine Inch Nails hanno a dir poco deliziato l’uditorio, si può dire a voce alta che ne è valsa la pena, eccome.
L’apertura è poderosa, così come lo sarà l’intero concerto; si inizia con “Somewhat Damaged” (dal doppio album del 1999, The Fragile) e “Terrible Lie”, traccia contenuta nell’album del loro esordio Pretty Hate Machine (1989), del quale si celebra quest’anno il ventesimo anno dall’uscita, vero manifesto dell’industrial.
Nel corso dell’esibizione il pubblico è trascinato e portato al parossismo dal carisma di Trent Reznor, che spinge sull’acceleratore delle emozioni per due ore, praticamente senza sosta; tranne per alcuni momenti in cui esegue alla tastiera brevi intermezzi strumentali. È un fine polistrumentista, suona perfettamente Mozart quasi dalla culla, e inoltre ha un indubbio talento compositivo.
La scaletta, ricchissima, spazia in lungo e in largo nel repertorio della band: “The Fragile”, “Head Like a Hole”, “The Hand That Feeds”; sono solo alcuni dei pezzi proposti. Senza dimenticare la famosissima “I’m Afraid of Americans”, frutto di una collaborazione con David Bowie del 1995.
Finale coi brividi: quando tutte le luci si spengono, tranne i due fari che illuminano Reznor, il cantante accenna le prime parole di “Hurt” (1994). Qualcuno nasconde gli occhi lucidi. Unica pecca: nessun bis, nonostante il richiamo a gran voce del pubblico. Ma, anche qui col senno di poi, viene da dire che va bene così, sono state due ore piene e a dir poco magiche.
Riff ossessivi, doppio pedale e sintetizzatore: i Nine Inch Nails si danno generosamente al loro pubblico, che mostra di gradire: uscendo qualcuno dice che “questo è il miglior concerto dei NIN che abbia mai visto.”…
Chiara Macchiarulo
Chiara Macchiarulo, martelive, martemagazine, musica, News, NIN