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Villa Ada capitolo primo

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Easy Star All Stars più che mai

easystarall-starsEsistono album intoccabili che fanno parte della storia del rock e stanno immobili e indiscussi all’interno dei libri che raccolgono i dischi più belli di tutti i tempi. In tanti hanno provato a rivisitarli, riarrangiarli e addirittura stravolgerli, ma nessuno ha mai ottenuto l’approvazione e il successo di pubblico che invece hanno avuto gli Easy Star All Stars. Considerati tra le migliori reggae-dub band degli ultimi anni, giovedì 2 luglio hanno fatto tappa nella città eterna.

Portano dread e cappelli giamaicani, cantano e si muovono in pieno stile reggae, ma in realtà sono quattro newyorkesi con la passione per il battere in levare. Lo show si apre con i brani contenuti nel loro unico album di inediti Until that day, per poi sfociare nelle ormai celebri rivisitazioni dei classici del rock.
La strada verso la conversione dal rock al dub è inaugurata da “With a little help from my friends” , cover contenuta nel loro ultimo lavoro in studio Easy Star’s Lonely Hearts Dub Band.

Assistere all’esecuzione ondeggiante di una canzone che solo Joe Cocker ebbe il coraggio di riproporre in una versione urlante e oltraggiosa, provoca una strana sensazione. Riescono a creare abilmente un ponte virtuale tra l’acidità della psichedelia e la ballabilità del dub. Inarrestabili e instancabili sguazzano felicemente tra i Pink Floyd, dalla cui rivisitazione è nato The Dub Side of the Moon, i Beatles e i Radiohead.
“Breathe in the Air”, “On the Run”, “Time”, “The Great Gig in the Sky” per poi concludere la parentesi rosa con una divertentissima “Money” con tanto di cori e sciarpe roteanti.
Forse le cover più riuscite sono “Paranoid Android” e “Karma Police” estratte dal loro secondo lavoro in studio Radiodread . Certo Tom York probabilmente avrà qualcosa da ridire in merito, ma nel ritornello di “Karma Police” devo ammettere che i ritmi rocksteady calzavano a pennello.
Vengono trasformati in stile rastafari anche “Lucy in the sky with diamond”, “She’s leaving home”, “When I’m sixty-four” e “Sgt Pepper’s lonely hearts club band” con la batteria in origine semplice ed essenziale di Ringo Starr potenziata in rimshot. Mentre “A day in the life” è il brano che riesce a coinvolgere emotivamente e ammutolire il pubblico che, fino a quell’istante, non aveva smesso di dondolare.

Si procede con l’unico bis del concerto, a metà esibizione il cantante esce dal palco per dare spazio agli assoli strumentali: chitarra, batteria, sax, trombone, tastiere e di nuovo chitarra. Tutti ci chiediamo che fine abbia fatto la voce solista, perché non saluta il pubblico festante e sovrappopolato di Villa Ada. Ma mi giro indietro e, esattamente alle mie spalle, lo vedo ballare e sorridere pronto ad accogliere i suoi fan e magari lasciare qualche autografo: un mito!

Paola D’Angelo

 

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