Storia di due Muse superbe
[ARTI VISIVE]
BARI- Quando il 19 agosto 1839 la fotografia viene presentata a Parigi alla Acadèmie des Sciences et des Beaux- Arts, la reazione degli artisti (pittori, scultori, letterati, da Ingres a Baudelaire) è inizialmente di grande chiusura. Il favore popolare accordato alla fotografia viene interpretato come potenziale pericolo. La fotografia è vista come tecnica che concorre ad assumere lo statuto di “arte”, ma viene respinta in quanto forma espressiva legata ad un mezzo meccanico (l’apparecchio fotografico).
Si ripete a metà Ottocento la situazione che si era venuta a creare circa quattro secoli prima: gli esponenti delle arti liberali consolidate e riconosciute si oppongono decisamente alla legittimazione di una nuova arte all’interno del loro alveo culturale. I pittori finiscono per sentirsi minacciati dall’offensiva intrapresa dai fotografi per far riconoscere la loro tecnica come una delle belle arti.
Nel suo resoconto del Salon del 1859 Charles Baudelaire contrattacca in nome dell’arte con violenza e malafede: la fotografia non è un’arte, ma una pratica industriale, il cui “vero dovere […] è di essere al servizio delle scienze e delle arti“. Da allora l’intellighenzia francese ripete religiosamente il giudizio di questo messia dell’arte sulla fotografia. Il fotografo non si rialzerà più.
Il colpo di grazia gli viene dato tre anni dopo, nel 1862, quando un gruppo di ventisei pittori, tra i quali Ingres, Jean-Baptiste Isabey e Pierre Puvis de Chavannes firmano un manifesto per “protestare ufficialmente e chiedere protezione alle autorità dello Stato” […].
Introdottisi nelle arti, divenute “belle arti”, i pittori e gli scultori ne hanno fatto un club chiuso a qualsiasi nuovo venuto. E così nell’Ottocento ne vietano l’accesso alla fotografia, come faranno nel secolo seguente con il cinema, la radio e la televisione.
Il lungo dibattito attorno alla questione se la fotografia sia da considerarsi un’arte oppure no attraversa buona parte del XIX secolo e resta aperta durante il XX. Ancora all’inizio del XX secolo i futuristi vengono accusati di essere “fotografi e antiartisti”, e Boccioni stesso respinge l’accusa, ma solo per confermare che “una benché lontana parentela con la fotografia l’abbiamo sempre respinta con disgusto e con disprezzo perché fuori dall’arte”.
Si può affermare che solo nell’ultima parte del Novecento viene riconosciuta appieno la dignità dell’opera di alcuni artisti che si servono unicamente del mezzo fotografico.
Ed è proprio sul delicato e d onusto rapporto tra pittura e fotografia che viene pensata e sviluppata la mostra del pittore Gianluca Matti e della fotografa Marisa Chiodo, intitolata Transiti – dall’immaginario pittorico all’immaginario digitale ospitata dalla galleria BLUorG dal 16 giugno al 16 luglio nel capoluogo pugliese.
L’artista milanese Matti ritorna a Bari con un percorso espositivo che tende a coniugare e a fondere due mezzi espressivi eterogenei, appunto la pittura e la fotografia digitale con l’ausilio dell’occhio sapiente di una fotografa, Marisa Chiodo. Il percorso creativo della mostra evidenzia come la fusione delle arti possa portare in realtà ad un processo di nuova visione, in cui il corpo umano privilegiato nell’opera di Matti, si smaterializza nell’opera digitale della Chiodo, ma ritorna ad essere ‘corpo’ negli scatti performativi in camera oscura. L’incontro dei due artisti, come fa notare il prof. Amerigo Restucci, ci permette di mettere a fuoco ” […] la capacità di far colloquiare 300 piccole tele di Gianluca Matti con le stampe digitali di Marisa Chiodo che riprende Gianluca in un ‘suo’ spazio. L’incontro tra la purezza delle immagini e l’intimismo delle movenze persegue risultati tanto sorprendenti quanto inattesi che rassomigliano ad una confessione personale: un risultato che ci fa pensare a nuovi approdi culturali“.
Credo che le tematiche di Matti e l’eleganza rarefatta delle immagini della Chiodo parlano proprio dell’andare oltre quello spaesamento nel quale si è sempre agitato il colloquio tra fotografia e pittura. E la mostra di questi due giovani artisti è una esemplare testimonianza della dignità di un nuovo ‘sistema delle arti’.
Questo spiega il fatto per cui oggi la stessa nozione di arte si è enormemente allargata, e in essa trovano spazio pratiche come la fotografia artistica, la videoarte, la net-art, la public-art, la ripresa di format televisivi….ma qui rischiamo di aprire un altro immenso squarcio nella storia dell’Estetica!
Denny Pellegrino
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