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Fluidi ipnotici, disprezzo e snobismo

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il7In “Irradia” di En plein air accadimenti piccoli e simbolici come un osso di seppia che sgocciola, e significative forme di riscatto morale, come un marameo fatto ad un vecchio nemico, sembrano far parte di un condensato di emozioni che magheggia con le corde del cuore, fatto vibrare come un violino attorno alle rivelazioni commosse ma scomposte di stati d’animo nebulosi contrastati da un cielo piatto e indifferente. Il brano inizia con un “pianissimo” tipico di un dolore in agguato tra i rampicanti, segue un’atmosfera malinconica da rimpianto esagerato vissuto tra i fiordi mentali d’un islandese avvilitoen_plein_air mentre la nave vichinga guidata dai suoi fantasmi si arena tra gli antichi borghi, come se fossero lo stagno che esplorava da bambino. Ed è lì che appaiono rospi con gli occhi gonfi che vorticano paurosamente riflettendo curve violacee dello spazio cosmico, nella seconda parte del brano, dove gli effetti elettronici e le distorsioni da trip interstellare prendono il sopravvento sulle ansie terrene o danno loro nuovi alimenti. La composizione riposa ed indugia su pieghe poetiche che coincidono con le capacità tecniche del gruppo, orientato a produrre suoni non convenzionalmente rock, ma tessiture strumentali sofisticate e comunicative, che sostituiscono al ribellismo d’ordinanza la trascrizione evocativa di “ambienti” rarefatti che una mente psichedelica vede quasi ovunque e che una strumentazione adeguata, aperta sia al classicismo che all’improvvisazione, travasa nelle orecchie come fluidi ipnotici.

Tam_DaoTam Dao, “musique vietnamienne psycho-corporelle”, è un progetto musicale che grazie ad una voce solista dai toni teatrali si lancia nell'”impresa più ardita a parte l’amore”, quella di arroventare a volte con chitarre surf-rock un clima sonoro che sa di revisione di Jean Luc Godard e di con-cettualismo offerto alle suffragette: “ti porterò in un posto che non sai e non so, per non perderti mai-ahi ahi ahi ahi, non me lo perdonerei” specie se tu dovessi tornare da lui! “Sinonimi e contrariati” si apre infatti con una figurazione chitarristica di formale ottimismo in cui la giovialità lascia chiaramente intravedere la verve ironica di chi sta sul pezzo ma non per questo non vede le magagne, e non per questo la smette di smazzare le note macinandole senza posa tra le sei corde mentre la voce declama turgida mettendo in piazza quelle “Due o tre cose che so di lei” (Godard). Il testo di “Santa Giovanna della Rambla”, enigmatico nella sua rappresentazione sim-bolica di transazioni mercantili, trova una resa asprigna e allusiva in chitarre e basso che ser-peggiano in sordina prima dell’assolo pastoso in cui i grilli per la testa di Giovanna vengono centrifugati in un romanzo popolare stravolto; se poi lei si getta nell’abisso della prostituzione, può essere una soluzione pratica, se ci si ritrova, che possiamo saperne noi? – leggete il testo sul myspace. In “Freni frizioni”, esemplare, l’esistenzialismo consunto si dispiega nel dialogo stretto ma estenuato tra il sospirato testo, cantato con esasperazione, il piano da night club per conte-statori di professione, ed una chitarra che snocciola con fatalismo eleganti ruffianerie alle bion-done con molto seno e poco senno. “Le mepris” (Godard) qui si solleva da “La nausea” (Sartre) come un germoglio virulento che soffoca ogni fioriera. “Lei, la guerra del Vietnam. Lei, la morte della bellezza” (Godard). (www.myspace.com/tamdaomusic).

La band degli Xenos mette insieme una varietà di influenze dopo averle inanellate con una vena Xenosfunky di fondo; il ritmo non è però assoluto protagonista (anche se le percussioni sono suonate con accidiosa convinzione in “La rabbia esaudita”), i suoni denotano una ricerca che affonda le radici in quel periodo pre-2007, in cui il leader PieX ripiegò su se stesso per elaborare con certosina attenzione tematiche legate alla psicologia umana e sonorità sintetiche derivate dalla performante psicologia “di plastica” di un McIntosh orientato a dire ciò che pensa e a suonarlo equalizzato. Quando si è trattato di tornare in pista, cioè sul palco, ecco l’insorgenza garage di chitarre che covano un magma represso (ancora “La rabbia esaudita”), non certo messe lì a giustificare “Arie odiose” ma piuttosto a denunciarle con strofe rap: “Tu sei in una fase mentale di non rispetto” e “Come è facile fare una promessa senza la minima intenzione di mantenerla; non starò alle tue pazze scusanti!” L’elettronica fraseggia liberamente con gli altri strumenti in “Criceto” attribuendo una connotazione scatolare ad una dinamica ritmica che potrebbe essere anche di una coppia e che produrrebbe ugualmente un criceto ed una ricercatrice che lo usa per punzecchiarlo con pinze elettriche e che ride “solamente se qualcosa ha senso, ma per il resto è seriosità”. “Di sicuro non ammetteresti che c’è un criceto che gira nella ruota, tu sei la regola ed io l’eccezione”. Brillante, tra l’altro, il lavoro del basso per tutto il brano, ammortizza sornione la congerie di suoni ludo-pedagogici che danno vita a questa requisitoria contro gli ingegneri con la testa squadrata. “Cari colleghi” è un godibile duetto tra la lead voice ed una voce querula che in falsetto completa il pensiero: “Come fai a far pesare sempre quanto conti in società… Come mai anche quando punti al peggio nessuno dice niente” e l’espressione sonora è come incantata, tan-ta è l’incredulità sullo snobismo di certi soggetti, che dinanzi all’orecchiabilità spinta di un simile pezzo diranno che loro con l’elettronica costruiscono pile di sistemi neurali, non canzonette. Ma gli Xenos concludono il brano con questo verso: “I miei amici non contano un cazzo ma sono i migliori del mondo”. E non fanno a gara per iscriversi alla P2!

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