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Kafka e il surreale mondo di Murakami

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Kafka_1MILANO- Haruki Murakami è uno degli scrittori giapponesi più letti al mondo e il suo successo è tale da circa trent’anni, da quando con il suo romanzo d’esordio, Ascolta la canzone del vento, vinse il Premio Gunzo come miglior esordiente. Oggi Murakami ha sessant’anni e nonostante  l’età, è molto amato dai giovani cinesi e giapponesi, inoltre può vantare un numero crescente di fan anche in Occidente.

Il motivo di tale successo, secondo molti, è legato soprattutto alla sua poetica che pur attingendo all’antica cultura giapponese, riesce a creare un ponte con il mondo contemporaneo, riuscendo così a scavare nell’animo di tutti, suscitando nel lettore domande esistenziali a cui spesso però non dà risposta. Inoltre è il caso di ricordate che Murakami è il traduttore in giapponese delle opere di Raymond Carver, attività che non può non aver influenzato in qualche modo il suo stile: non a caso Murakami considera lo scrittore e poeta statunitense uno dei suoi mentori letterari. Questa introduzione era d’obbligo per inquadrare in qualche modo lo spettacolo che è andato in scena al Teatro Arsenale di Milano ossia Kafka sulla spiaggia, romanzo di Murakami pubblicato nel 2002 in Giappone e arrivato in Italia solo l’anno scorso.

La storia racconta in parallelo la vita di due personaggi: quella di Nakata Satoru e Tamura Kafka (entrambi portati in scena da un bravo Giovanni Calò), entrambi personaggi problematici e fondamentalmente soli. Il primo, Nakata è un uomo maturo d’età ma ingenuo e immaturo nell’animo, la cui vita è segnata da un evento sconvolgente, un delitto nel quale è stato coinvolto, contro la sua volontà, quando era bambino. Ad un certo punto però Nakata decide di lasciare la sua vita tranquilla e abitudinaria per cercare la pietra dell’entrata del mondo, là dove il mondo visibile e invisibile si incontrano. Il secondo personaggio è invece un ragazzo di quindici anni che ha scelto come pseudonimo Tamura Kafka: anche lui come il vecchio Nakata è in fuga da un incubo, quello del padre e della sua profezia che ricorda quella di Edipo; durante il suo viaggio si troverà ad affrontare varie disavventure, fin quando non troverà ospitalità presso una piccola biblioteca gestita dalla signora Saeki (Claudia Lawrence) e dal suo assistente OshimaKafka_3 (un simpatico Marco Pepe). Queste due storie parallele hanno però dei punti di contatto: il fallimento, quello di un bambino che a 9 anni perde la memoria e deve ricominciare da zero e quello di un quindicenne che è stato abbandonato dalla madre; l’isolamento e la paura che accompagnano la fuga; la meta finale del viaggio, Takamatsu nel sud del Giappone; il mistero che avvolge il passato di entrambi i personaggi.
Insomma è una storia complessa quella che va in scena, piena di enigmi che si intrecciano e che son destinati a non trovare soluzioni definitive nemmeno al calar del sipario.

A rendere ancor più difficoltosa la narrazione di una vicenda già intricata di suo, contribuisce anche la scelta di far interpretare allo stesso attore entrambi i personaggi, spesso con stacchi immediati da una situazione all’altra: nonostante la bravura di Giovanni Calò lo spaesamento iniziale nel pubblico è abbastanza evidente e per la prima mezz’ora si fa oggettivamente fatica a capire cosa stia realmente accadendo. Azzeccata invece l’idea del regista Kuniaki Ida di alternare in scena presente e passato, in quanto questo espediente permette allo spettatore di scoprire pian piano la storia dei personaggi, proprio come avviene nel libro dove si ha come l’impressione che Murakami scopra la storia insieme al lettore, viaggiando sulle tracce di Kafka e Nakata con la stessa curiosità e sete di avventura che pervade chi si avvicina per la prima volta al suo romanzo.
Per quanto riguarda gli altri aspetti tecnici, un plauso va alle luci di Piera Rossi che riescono a creare quell’ambiente onirico, tra sogno ed incubo, necessario per una simile rappresentazione, mixando con cognizione coni di luce e spazi d’ombra; meno invece hanno convinto  le musiche e i rumori di scena,  ridotti quasi all’osso e la scenografia, eccessivamente minimalista.

Insomma una rappresentazione controversa, caratterizzata da punti di forza e debolezza, molti dei quali legati anche al romanzo dal quale la piéce è tratta, visto che, è inutile negarlo, Muramaki è uno di quegli autori che o si ama o si odia. L’autore giapponese ha infatti ben presente le storie che si raccontano ai bambini giapponesi: sono storie che cominciano e non finiscono, in cui la morale finale è affidata alla sensibilità del lettore, cosa che ovviamente la rende cangiante. Insomma un’ idea e una poetica di fondo molto orientale che suscita qualche perplessità in sala: non a caso gli sguardi interrogativi solo molti, a dimostrazione del fatto che ai pragmatici occhi occidentali certe tematiche onirico- surreali non sono facilmente digeribili.

 

Christian Auricchio, Kafka sulla spiaggia, martelive, martemagazine, Milano, Murakami, teatro, Teatro Arsenale

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