Il corpo
[ARTI VISIVE]
BARI- Nel suo Laocoonte, Lessing scriveva: “La necessità ha spinto a inventare le vesti, e che cosa ha a che vedere l’arte con la necessità? Ammetto che esiste anche una bellezza del panneggio, ma che cosa è mai a confronto della bellezza della forma umana?“.
Esaltazione del corpo umano, da secoli protagonista privilegiato e indiscusso delle varie scelte artistiche.
Nelle epoche cosiddette classiche saranno le teorie platoniche a farla da padrone e le opere ispirate alla conformità saranno quelle più frequentate dagli artisti. Il Classicismo formale si pone come tendenza volta a conservare un ideale supremo e inattaccabile di perfezione, la perfezione e il rigore formale propri degli antichi. Esiste dunque tutta una serie di regole e canoni che devono essere rispettati per poter parlare di un’opera come un’opera perfetta. In essa valgono i criteri di conformità, armonia, simmetria, equilibrio, proporzione delle forme, moralità e quindi bellezza.
Tuttavia l’arte è sempre stata vittima della “poetica del particolare” in cui troveranno spazio anche l’imperfezione e la bruttezza tout court, le quali, a differenza della bellezza, non sono mai principi universali. Così si passa dai vigorosi discoboli del periodo classico ai corpi deformi, enormi, incompiuti, sanguinanti, mutilati. Sino ad arrivare al punto che lo stesso corpo diventa opera d’ arte, al punto in cui, come scrive Merleau-Ponty: “gli oggetti della pittura moderna ‘sanguinano’, spargono sotto i nostri occhi la sostanza, interrogano direttamente il nostro sguardo, mettono alla prova il patto di coesistenza che abbiamo che abbiamo concluso con il mondo attraverso tutto il nostro corpo“. E non più metaforicamente, la materia dell’arte è la carne, la carne macellata e la carne vivente.
Ed è proprio al “corpo” dedicata la mostra collettiva di undici allievi del corso di decorazione dell’Accademia delle Belle Arti di Bari, intitolata Giugno d’artista.
“Ricerche formative, regole comuni, riflessioni linguistiche diverse: l’evocazione costante del corpo la cui fisicità è spesso oltrepassata, lacerata o ambigua e nascosta è il tema ricorrente di questa mostra di inizio estate“. E’ così che alla Prof.ssa Giustina Coda piace presentare il lavoro da lei curato in collaborazione con la Prof.ssa Julia Carraro.
Come anticipavo sono undici i giovani artisti baresi che hanno dato vita ad una mostra dai toni e dai colori intensi e riflessivi. La voglia e la capacità di sperimentazione si concretizza in proposte mature e nuove.
Giuseppe Abbattista dilatando il margine di una visione scientifica crea una Monckey, protagonista di una perfetta e riuscita fusione tra l’umano e la bestia, tra uomo e scimmia.
Suggestivo, Lorenzo Caradonna propone una realtà deformata, rivelando nei ritratti i lati oscuri dell’apparenza.
Sul versante informale operano Cristina Mangini ed Elisa Zampetta: stratificano colore e materia articolando spazi mentali a cui si aggiunge un messaggio mediatico, creando grate di forte suggestione simbolica.
Antropologicamente, Roberta Rescina si confronta con una cultura altra, lontana dalla sua, in cui l’evoluzione del corpo della donna conduce all’universalità della comunicazione.
Fenomenologico più che mai, Marco Testini elabora un frammento, un particolare del corpo, conservandone un’immediata lettura nonostante l’anomala manipolazione cromatica.
E infine, il doppio senso, la doppia identità della stessa parola permette a Teresa Romano di esplorare anfratti immaginari del pensiero aprendo nuovi ed infiniti orizzonti cognitivi.
Insomma in una piccola galleria, sulla cima della muraglia che sovrasta il lungomare barese, il “corpo umano”, in tutta la sua complessità ontologica ed estetica, la fa ancora da padrone e diventa protagonista di una splendida mostra.
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