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Mitologie di coppia, lambrusco e uno stuntman

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il7Being Ernest è un progetto che non acquisisce “importance” solo nella bibliografia di Oscar Wil-de, ma determina nelle atmosfere italiane un approfondimento delle sensazioni sospese, grazie ad una voce che ci sa mettere in comunicazione empatica coi suoi pensieri, pur nei solchi di una compostezza da New Wave attualizzata, ad una sezione ritmica che esprime una vibrazione emotiva soggiacente ma non esasperata, e ad un piano che conferisce rotondità e pienezza ai delicati equilibri tra malinconie sparse. Molto pervasiva la “scintilla, un attimo di meraviglia” che in “Come fa” si sprigiona dalla being_ernestpunteggiatura pianistica e galvanizza la vita malgrado essa riposi spesso su rime stupide e banalità che non si sa “come fa la vita, l’amore” a perpetuarsi. In “La parte migliore” la chitarra indie si agita in una palpitazione continua, ma è la linea melodica della parte vocale e delle tastiere a fungere da commento sonoro ad un testo che mostra l’impazienza di vedere una volta per tutte il volto vero di chi ci lascia nell’incertezza: “Cosa aspetti di vedere ancora? Cos’è che mi nascondi ora? La parte migliore di te”. I rintocchi di chitarra ed il cam-biamento di tono nella voce e l’infittirsi delle note di piano elettrico conducono il brano verso la fine, ma forse anche verso un disvelamento. “Arrendersi” è invece un brano ipnotico, rassegnato all’eventualità sempre più concreta di scrutare “…il mondo, la vita, cercare nel fuoco queste poche cose”. E, a dispetto delle guerre e del dolore, “Sento che potremmo arrenderci, che do-vremmo esprimerci”. In chiusura del brano un lungo assolo di chitarra riavvolge in un unico gro-viglio di mente e cuore le impressioni evocate da queste poche parole, e ne illustra lo sbocco fuori dalle reticenze minimaliste. “Sai” è ancora più ipnotico e dolente, richiama lo spirito speri-mentale del rock anni ’70: “Sai, ho sognato che ci incontravamo ancora e non c’eravamo visti mai…”, mentre il frastuono della gente creava un’addensamento di suoni attorno ad un incontro nuovo e un po’ folle che è lo snodo nuovo ed inverosimilie di una non ancora sopita mitologia di coppia!.. L’ammiccamento è ai Radiohead ma anche ai Coldplay, citati tra le influenze, insieme ai Police. Dopo l’apparizione nello scorso articolo di questa rubrica, “L’attesa, il cammello, le ossa e i funghi”, Andrea Di Carlo torna a riempire queste pagine mettendo lo zampino da bassista anche in questo quartetto dominato dagli estri di Ernesto Ranieri, ma anche dagli accordi sognanti di Paolo Bonanni, che insieme al lavoro indefesso di Flavio Ferrante alla batteria, enucleano un sound convincente.

DionisiaDionisia è una compagine impudente che con suoni da saltapicchio messi insieme dalla loro “Musica pirata” punta a rendere disastrati i guardaroba delle drag queen anche senza schierarsi apertamente dalla parte dei machos intolleranti alle parrucche; quando il funky si sposa con l’hip hop presentandosi con l’abito delle nozze intriso di sciroppo verde, è il panico per chi si fa scru-polo di non scaricare musica da internet: “Non fatevi spaventare dai masterizzatori, pensate a fare dischi migliori!”, ma non è facile quando ti accorgi che c’è chi segmenta ritmi con la velocità di un acceleratore di particelle mentre se ci prova un altro gli vengono tanti crampi alle mani da fargli perdere le dita tra le corde. Se riuscite ad immaginare, si legge sul loro myspace, Frankie Hi-NRG cantare insieme ai Tower of Power, ed i Beastie Boys su un pezzo strumentale dei Primus, allora, oltre ad avere un orecchio orientato alla sillabazione automatica delle oscenità in un linguaggio sincopato, siete predisposti per l’ascolto dei Dionisia, una esperienza che vi intro-durrà a visioni impietose di un’Italia che va, smanettando il basso, “Sul carretto” e “se una legge infrangerà, qualcuno una tangente pagherà, …pecora nera del continente…”. Riuscirle a cantarle chiare prendendosela con chi ci assilla con la sia indebita presenza è una missione, per i Dio-nisia, e i risvolti truffaldini e indecorosi d’un paese impantanato nella sua stessa vergogna ven-gono elencati con la severità d’un censore vestito di bucce di banana: l’Italia (e la sua pena) “va sul carretto a due velocità, salutando con una canzone che l’accompagnerà finchè qualcuno non la fermerà”. In “Tutti fatti di metilfenidato” si ascolta: “Bambini e bambine, chiedete anche per voi un po’ di anfetamine, senza più disturbi dell’attenzione fare i compiti è più bello che giocare a pallone…” La lubricità di scratch accennati e campionamenti fatti galoppando, sostiene la verità di testi stuzzicanti e svalvolati accompagnati da occasionali ma intensi assoli che corroborano tutto il guizzante insieme di sonorità da vivace guazzabuglio, degno di una dèa, Dionisia, appunto, che pasteggia a sesso e risate accompagnandosi con lambrusco bacchico e basso fretless.

Starlette è un irrefrenabile impulso pop-rock elettronico che non si arresta di fronte ad una Starlettestrofa difficile, ma la condisce con suoni spazial…oidi, rallenta ad arte il ritmo quand’è il momento di calare sul tappeto verde la riflessione decisiva, e marchia tutto con ritornelli che presentano in forma irresistibile il nocciolo del senso e del desiderio (“Attimi andati via”); ma questo non basta, i componenti del gruppo ribadiscono il concetto cavandolo fuori dalle onde cosmiche che vengono forse dagli alveoli stellari lontanissimi di pupazzi sgrullati figli degli space invaders che ripetono “Lascia che il tempo sia dentro di te come malattia” cercando di entrarci in testa come furetti colonizzatori dei cervelli in fase di sballo. Mentre in genere si galleggia, volendo, tra Nirvana e Subsonica, in “Lena” annusiamo gli aromi aspri di un congedo più seccamente rock tra due che stanno ormai dentro la loro storia come in un brutto cartoccio unto: “Taci e ascolta i passi che portano alla nostra noia”; l’apertura è affidata ad un sax forse elettrificato o forse simulato, per il resto l’abbandono è arrotato da chitarre intorno ad una voce che si tormenta per il destino che ha fatto perdere un’occasione ad entrambi per starsene buoni e tranquilli. “Qualcosa non va” ha un andamento legato inizialmente ad un riff tenuto bloccato ed un ritmo accompagnato da effetti elettronici che si avvitano per tutto il sistema circolatorio, come anche “In mente” sembra in origine far fare headbanging contro pareti imbottite di melanzane sfatte, e invece prende il via come la mutazione di uno stuntman cyborg che vuole tenere in mente qualcuno e sbattersi l’anima per questo pensando di essere ancora lo stesso di prima, quando invece ormai non obbedisce più alla sua matrice biologica originaria ma all’immagine di quella cinghialotta meccanica di cui s’è innammmmorato. Ma basta un battito di ciglia bluastre ed è “Apatia”; quella degli Starlette è una proposta sublimemente schizoide, che gioca con i prolassi semi-metallici dello spirito e li rende echi di tempeste solari in cui gli ormoni si sciolgono come pallette di burro, parte di un compatto delirio elettronico che produce sommovimenti liberatori e trance visionarie da eternauta.

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