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Gino Marotta: universo in via di definizione

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Immagini_002[ARTI VISIVE]

La mostra inaugurata il 27 Marzo dalla Fondazione Modigliani, oltre ad essere ospitata nel bellissimo e suggestivo scenario di Palazzo Taverna (che già, di per sé, sarebbe motivo sufficiente per una visita), attrae subito l’attenzione per l’importanza del nome cui l’esposizione è dedicata, quello di Gino Marotta.


Artista “storico” e fondamentale dell’Italia del dopoguerra, che è cresciuto a contatto con i protagonisti più importanti dell’arte dell’ultimo secolo e che ha avuto un grande risalto anche all’estero, Marotta è un autore che non si stanca mai di creare, rivedere, reinventare, e questo suo carattere inquieto e sperimentatore emerge con evidenza dal tracciato della mostra.

Nelle sale della Fondazione, infatti, è raccolta l’ultima propaggine della produzione marottiana, un insieme di opere quadrate, tra cui alcune di dimensioni rilevanti, dipinte dall’artista di Campobasso tra il 2004 e il 2009. Se a prima vista, oppure ad uno spettatore ignaro del passato artistico di Marotta, le 18 tele esposte potrebbero apparire un po’ dimesse rispetto al panorama eclatante dell’arte contemporanea, è proprio contestualizzando i lavori in quello che è il fecondo percorso artistico del pittore che i quadri acquistano nuova luce, uno spessore e un peso che derivano proprio dalla coerenza con il passato, dalla linearità di una indagine artistica individuale e profonda.

Gianluca Marziani scrive che “le opere in mostra fanno parte di una ricerca artistica Immagini_006diversa ma parallela ai suoi celebri metacrilati” e queste due parole, diverso e parallelo, costituiscono una chiave di lettura ad hoc per quanto riguarda i lavori esposti. Da un lato, infatti, il Marotta dei tardi anni ’50, che scandaglia tutti i mezzi materiali e tecnologici disponibili, dalle Sabbie, ai Piombi agli Allumini, e il Marotta che raggiunge l’apice con i famosi metacrilati, lasciano qui il posto ad una produzione più piana e meno innovativa, una sorta di ritorno ad un ordine intimo e personale che si traduce nell’uso di un supporto e di una tecnica più tradizionali (eccezion fatta per l’installazione con i massi nella seconda sala). Dall’altro lato, però, quelli che sono i temi e i leit-motiv della poetica dell’autore tornano con grande coerenza, sotto altre vesti. Torna il complesso dei segni utilizzati, veri e propri “simboli” di un alfabeto o di un testo da decifrare, come la palma, gli alberi, le linee serpentinate e i serpenti, le nuvole, i lampi, i cammelli, i pesci, gli struzzi. Torna oggi una sorta di riflessione sulla natura, che già aveva caratterizzato le elaborazioni in metacrilato degli anni ’60: di fronte a questi fondi grigio-violetti che ricordano cieli in tempesta, squarciati da lampi e tuoni, di fronte a queste forme che si gonfiano come nuvole, affiora senza dubbio il riferimento ad un inquieto mondo naturale, che si agita sotto spinte oniriche un po’ minacciose. Anzi, si potrebbe dire che in queste tele Marotta sembra esplorare, con la purezza di un bambino, un universo mistico e simbolico che è tanto reale quanto mentale, un viaggio in una dimensione parallela, guidato da segni che ricordano le grafie infantili e le incisioni primitive rupestri, e che divengo le coordinate per muoversi in questo spazio allucinatorio e indefinito.

Altro punto fisso del corpus marottiano, e quindi contatto con l’arte precedente, è l’importanza della luce.  La ricerca sulla componente luministica, evidente nelle trasparenze e nei giochi di colori dei metacrilati, torna nelle tele più recenti grazie alla tecnica del tratteggio, che sembra illuminare i quadri dall’interno. I grigi e gli azzurri del magmatico spazio inventato da Marotta si accendono di riflessi improvvisi, di vampate di luce, con un rimando evidente al bagliore dei lampi.
I segni, la luce, lo stravolgimento della natura: tenendo presenti alcuni dei punti fermi della riflessione dell’autore molisano, le tele esposte a Palazzo Taverna divengono un po’ più tangibili, percepibili come tracce collocate coerentemente nel suo immaginario, un universo a parte che si rinnova rimanendo sempre sé stesso.

 

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