Skip to main content

The return of Medusa’s Spite

I Medusa’s Spite tornano a calcare la scena con il loro nuovo album Morning Doors (The Glass Path), secondo capitolo del precedente lavoro, il concept album Morning Doors.
I due fratelli nonchè fondatori della band, Paolo e Stefano, ci raccontano un po’ della loro storia e delle loro evoluzioni fino a giungere a “Soon”, primo singolo estratto dall’ultimo lavoro.


Mi ha colpito molto l’origine del vostro nome, che è stato ispirato dal dipinto di Caravaggio. Ho notato che anche la veste grafica del vostro nuovo lavoro Morning Doors (The Glass Path) è un chiaro omaggio alla tradizione mitologica greca, come mai questa scelta? Perché siete stati colpiti proprio da questa rappresentazione?
STEF: Caravaggio, come tutti i grandi rivoluzionari del’arte, della scienza e della politica si è posto di fronte all’idea e alla creazione in maniera pura. Con purezza e determinazione ha percorso la propria strada indipendentemente da ciò che politicamente e psicologicamente veniva imposto ed affermato dal circuito ufficiale. Noi ci poniamo nei confronti dell’arte allo stesso modo, con forte senso di responsabilità, con serietà. Nel dipinto “Testa di Medusa” esposto agli Uffizi di Firenze, quello che più colpisce è l’istantanea della decollazione di un essere unico. Il volto è già colmo di dolore in uno sguardo che lascia di sasso e la testa coronata di serpenti. E sangue. Guardi bene il quadro e ti rendi conto che quel dolore non è un dolore fisico. Medusa era una dea meravigliosa trasformata in un mostro da Atena e per maledizione costretta a non poter guardare nessuno negli occhi neanche per un’istante. Nella società di oggi si è schiavi di fronte alla bellezza, e il paradosso è che si può rimanere impietriti quando ce ne troviamo di fronte tanta. E’ come se fossimo incapaci di accettarla. A Medusa fu tolta tutta, e cosa c’è di peggio che averne posseduta tanta e averla persa di colpo? Medusa’s Spite, il rancore o il dispetto di Medusa. La Grecia è la terra che fa da teatro a questa tragedia. La Grecia è la culla delle forme, del bello inteso come perfezione di linee, portamento ed essenza. Ma è anche la patria della filosofia e della riflessione. Medusa invita tutti i posteri ad un’ampia riflessione sul bene e sul male eterno.

I Medusa’s Spite esistono da circa 10 anni, anche con delle riconfigurazioni di line-up. Raccontaci un po’ della vostra storia e delle vostre evoluzioni.
PAOLO: Si, i Medusa’s Spite esistono dal 1996. ripensando ad allora credo che ogni momento sia stato utile per arrivare ad oggi. Gli inizi con la musica Techno, il breve passaggio attraverso la musica Dance, e i tanti ascolti che partono dai Depeche Mode prima di tutto, per arrivare subito dopo al Rock. Ora siamo in grado di produrre musica di diverso genere come in passato ma con più facilità espressiva e con più sintesi, riusciamo a capire le potenzialità di un nuovo brano dopo poche prove in sala. Rispetto agli inizi è proprio il fatto di aver introdotto nella band basso e batteria acustica che ci permette di avere un senso molto più immediato e diretto dei brani, si riesce subito a capire se la struttura funziona da sè, se il brano si regge da solo e senza aggiunte. Abbiamo un nuovo batterista, Fabio de Angelis, da quasi un anno con cui ci troviamo molto bene, e il bassista Axel Donnini è ormai una nostra certezza.

Le vostre sonorità si pongono a cavallo tra electro-rock inglese anni ’90 arricchito da sfumature tipiche delle tendenze del nord Europa, vi ritrovate in questa definizione? Il fatto che il video di “Soon” sembri girato in una località tipica scandinava, è una conferma di questa appartenenza?
STEF: Assolutamente si. Il nostro viaggio parte da un grande senso di rispetto e interesse per i Pink Floyd, veri e propri architetti dell’arte, capaci di unire profondamente musica, fotografia e immagine in costruzioni solide dove lo spazio, il tempo e il contenuto incontrano anima e logica e dove la logica e il cuore dettano le proprie regole. Facciamo nostra l’esperienza del migliori gruppi electro-wave degli anni ‘80 (mi riferisco a bands come i New Order e i Depeche Mode) per fonderlo con le sonorità più introspettive degli anni novanta (Radiohead e Mansun) e con un occhio di riguardo per il sound di Seattle (Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden). Oggi I Sigur Ros sono uno dei gruppi che più ci affascinano: I loro video sono incredibili, meravigliosi, Il loro suono è puro, Sono artisti veri. Il video di “Soon” viaggia musicalmente e visivamente su una realtà parallela lontana anni luce dagli stereotipi musicali e visivi del nostro paese. Il nuovo video realizzato per il brano “Cat black D” che è in fase di montaggio è stato girato interamente in Finlandia. L’arte prodotta dice molto sul senso di “appartenenza” degli artisti che la producono.

Un videoclip, tra l’altro, con una bellissima fotografia (complimenti a Pellegrini). Ci racconti un po’ com’è andata la lavorazione?
STEF: Otto anni fa mi dò appuntamento con un mio amico che frequentavo ai tempi della scuola e che faceva l’organizzatore dei pomeriggi in discoteca nei locali romani. Otto anni fa ho 27 anni e rientro in una discoteca di pomeriggio per la prima volta dopo tanto. Tutto è cambiato. Lui mi diceva che i ragazzi si erano emancipati rispetto ai nostri tempi. Le ragazze erano molto più sveglie per non parlare poi dei ragazzi che non perdevano tempo nel locale a trascinarle in luoghi appartati e addirittura farlo senza alcun pudore sui divanetti o chiudendosi in bagno o nell’ufficio di qualche PR che gli girava le chiavi di nascosto. La fotografia che rimase stampata nella mia mente per molti anni fu quella di una ragazza di quindici, sedici anni che ballava solo in slip, tacchi e canottiera su un cubo e tutti i ragazzi che le ballavano sotto in un morboso rituale fatto di sguardi avidi, sghignazzi, gesti e male parole. Avevo appena chiuso con una persona alla quale tenevo molto e che era molto lontana. Guardavo questa scena e pensavo a quanto tempo fosse passato, a dove fosse lei. Guardavo questa scena e mi sentivo tradito nonostante non avessi mai visto quella quindicenne. Ma era qualcos’altro ad essere tradito. Qualcosa di molto più profondo. Nasce Soon… Ho fondato la “Onirica” con grandi sogni nel cassetto e Soon è il secondo video prodotto e organizzato interamente da noi. Io e Simone avevamo le idee molto precise su come dovevano essere i due ragazzi che avrebbero interpretato il video: Igor Mikhaylov e Kristina Novikova. Fortemente voluto il primo (non mettevo in piedi nulla senza di lui) nonostante 3 giorni di casting insieme a Simone per reclutare una faccia credibile che rendesse un soggetto così delicato. Kristina invece fu una sorpresa poiché un giorno prima delle riprese l’attrice che era stata scelta nel casting mi comunica che non può più girare con me perché era stata chiamata da Vogue Italia per un servizio fotografico al quale non avrebbe rinunciato per nulla al mondo (gli feci i migliori auguri…). Kristina venne su suggerimento di Eva Nestori, Make up e Styiling di Soon la quale diede il “la” a me e Simone che subito individuammo in lei l’unica possibile alternativa. Era perfetta, potrebbe essere una delle protagoniste di uno dei film che più ho adorato : Pick Nick a Hanging Rock. Sembrava un video maledetto. Due settimane di piogge sull’altopiano e continui rinvii che hanno portato la troupe originaria e in particolar modo il reparto fotografia a dare forfait. Insieme ad Eva oltre la band e il regista rimase sicuro solo il reparto scenografia formato da Assunta Paravati e Tatiana Giovazzini e l’aiuto regia Barbara Daniele. Così come per l’attrice fui costretto a cambiare in corsa a ridosso delle riprese il direttore della fotografia e tutto il reparto. Subentrò Daniele Persica alla fotografia (regista affermato abilissimo con la fotografia) che ha regalato a mio avviso quel di più raccogliendo una nomination per la fotografia al PIVI 2008 – MEI di Faenza che si è andata ad unire alle altre due come miglior soggetto e miglior montaggio e alla vittoria del Premio Miglior Regia assegnato a Simone Pellegrini.

Morning Doors (The Glass Path) si presenta come secondo capitolo del concept album Morning Doors del 2005. In cosa e come evolve l’idea del precedente lavoro? Rimane sempre connesso al primo per quanto riguarda il dispiegamento temporale oppure si sviluppa in maniera autonoma e differente? Cosa vuole sottolineare l’aggiunta tra parentesi?
STEF: Morning Doors e Morning Doors (the glass path), sono due album strettamente collegati proprio perché il secondo conclude il concept aperto dal primo. I due album raccontano sotto forma di corto audio una giornata qualsiasi di una vita qualsiasi in una giornata qualsiasi dei tempi e del mondo di cui ci sentiamo parte, del quale siamo totalmente alieni. Una giornata come tante che si ripetono, in compagnia del silenzio, della solitudine, della debolezza, della realtà o dell’immaginazione, delle visioni distorte, delle circostanze. Una giornata che è più giornate, così come un’unica fermata del metrò può evocarne un’ infinità. Essa in realtà rappresenta la vita con la sua alba e il suo tramonto, l’inesorabile scorrere del tempo, quello che abbiamo da vivere, quello concesso. Il corto audio ha come protagonista un ragazzo che proviene da un’altra galassia, e che e’ stato dimenticato sulla terra dai suoi compagni. È realtà o solo un sogno? Il tempo passa… L’ insieme di ore che lui vive partono dal sonno e tornano al sonno, dal buio al buio, dall’inizio alla fine, l’inizio… Sono ore di vita qualsiasi e vogliono rimanere tali indipendentemente da ciò che accade all’interno di esse, indipendentemente dalle azioni del nostro protagonista e dagli intenti della sua giornata; rimangono azioni qualsiasi di una giornata qualsiasi. I brani celebrano il sapore di ogni momento di queste ore, nelle sonorità, nel contenuto e nel ritmo. Proprio seguendo ritmicamente il mutamento dello spazio e del tempo, i testi ci trasmettono lo stato d’animo del protagonista e portano la riflessione su un livello più complesso, più ampio, dove entrano in gioco i pensieri, il tormento, la speranza, le proiezioni, la difficoltà di relazionare la realtà, la società, l’amore, il sesso e i rapporti umani che lui fotografa, con ciò che egli vive come realtà, società, amore, sesso e rapporti umani a livello interiore. Concetti che giorno dopo giorno vengono messi a dura prova dal tempo, ben lontani dall’età infantile, l’età in cui venivano abbracciati spontaneamente come puri, in cui i rapporti di causa ed effetto e il concetto di logica non venivano percepiti in maniera così analitica, così politica. E’ proprio la mancanza di corrispondenza tra questa realtà idealizzata, che vive in lui, e quella che cattura dall’esterno con i suoi sensi (condannati da lui stesso come responsabili e traditori), a caratterizzare il nostro protagonista mostrandocelo come alieno, mostrandocelo proprio com’e’. Il contrasto tra il suono essenziale, semplice e crudo della realtà nel cortometraggio sonoro e quello più articolato e moderno che mettiamo nella nostra musica, e’ una precisa scelta finalizzata a mantenere intatto e separato il carattere proprio di queste due differenti entità e nel contrasto stesso di mettere in luce il loro più velato, intenso e profondo legame. “The glass path” il “sentiero di vetro”… un sentiero su di un mondo meraviglioso che ci porta verso la conoscenza, verso l’Io, e, durante il cammino, il poter osservare ciò su cui si sta passando, gli ostacoli che si superano, ma anche il pericolo delle crepe, di poter scivolare della rottura, e che come il vetro, anche il sogno possa infrangersi.

Mi ha molto colpito, che a differenza del primo album, pubblicato sotto l’etichetta discografica Baby Records con la quale avevate anche riscosso un notevole successo, avete deciso di sciogliervi da qualsiasi impegno discografico e imporvi sulla scena musicale come gruppo assolutamente indipendente e autoprodotto. Questa è una vera e propria dichiarazione di amore nei confronti della vostra musica, che però comporta una totale dedizione e non pochi sacrifici, che, a quanto pare iniziano ad essere ripagati. Come riuscite ad organizzarvi in questo senso?
PAOLO: Direi che per una band come la nostra, la scelta dell’indipendenza assoluta in termini produttivi e oggi anche distributivi, è un’evoluzione naturale derivante dal cambiamento radicale che il web ha imposto. Consideriamo la possibilità di gestire a 360° il nostro prodotto ora anche a livello editoriale e distributivo, non più quindi solamente a livello artistico come una grande opportunità. Siamo davvero grati in primis a Claudio Donato (col quale continuiamo a collaborare) con l’Antibemusic e poi a Freddy e Maurizio Naggiar poi con la Baby Records per aver compreso quanto abbiamo messo nei nostri dischi, nell’averli compresi e nell’averci supportato. Ma oggi a meno che non lavori esclusivamente per te, una casa discografica può fare poco di più o spesso anche molto meno di quanto noi non possiamo fare per noi stessi, ed il motivo è molto semplice: noi sappiamo perfettamente come lavorare la nostra musica, come produrla e come gestire la comunicazione con chi ci segue, e soprattutto lavoriamo esclusivamente per i Medusa’s Spite, cosa che una casa discografica non potrà mai permettersi di fare in quanto deve dedicarsi a diverse band e cercare di dare ad ognuna un’identità, spesso questo non è possibile o comunque non riesce bene, tranne che a poche label veramente ben organizzate. Oggi è per noi molto importante avere il controllo su tutte le scelte che intraprendiamo, e con questo intendo dire scelte di promozione, produzione, marketing, realizzazione dei video, la scelta dei canali distributivi, la scelta delle persone che collaborano con noi a tutti i livelli etc. E’ molto più facile da un certo punto di vista lavorare in questo modo, anche se molto più impegnativo perché chiediamo sempre meno ad altri il motivo per cui una cosa va in un modo piuttosto che in un’altro e scegliamo noi quello che riteniamo essere prioritario, basta questo a farci sentire meglio.

I primi di Aprile uscirà la vostra ultima creatura, come vi state organizzando per quanto riguarda la promozione? Avete in programma un tour, e se si, sarà italiano o state buttando uno sguardo al resto d’Europa?
STEF: L’Italia l’ho sempre intesa come una sala prove per qualcosa di più grande che tentiamo di realizzare all’estero. Ci muoviamo assolutamente da indipendenti al momento e non riteniamo che fare tante apparizioni possa giovarci più di tanto. Come si dice, poche ma giuste. Abbiamo fondato insieme ai Rant Buster Casey un movimento che si chiama Yes Uk!, che sta crescendo giorno dopo giorno e che mira a raccogliere il favore e l’interesse di tutte le band di matrice, background e idioma inglese che non si sono mai riconosciute in quello che spesso e volentieri viene fortemente sponsorizzato, se non addirittura imposto, nel circuito ufficiale italiano. Ci stiamo organizzando con voglia di costruire un circuito veramente alternativo che porti a suonare band di una città in altri luoghi col supporto delle band locali e viceversa. Ci facciamo promotori e ci mettiamo in gioco per questa che è più di un’idea. Non appena l’album è pronto, inizieremo una serie di serate per l’Italia legate a questo movimento. Ci sono tantissimi gruppi in giro molto più validi di quelli che i grandi media e le grandi produzioni impongono e che sono degni di essere conosciuti e rappresentati. Semplicemente, sono nati in Italia… e usano l’idioma inglese in quei generi che per tradizione e natura appartengono a Inghilterra e America.

Stefano Daniele voce
Paolo Daniele chitarra
Axel Donnini basso
Fabio de Angelis batteria

www.medusasspite.com
www.myspace.com/medusasspite
www.myspace.com/oniricaproductions

IntervistaPrincipale, martelive, martemagazine, musica, The return of Medusa's SpiteMedusa's Spite

Lascia un commento