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Quando l’immigrazione produce…un incontro

[ARTI VISIVE]

Le crisi acuiscono le paure, non servono trattati di sociologia per capirlo, e sappiamo anche che c’è chi sa cavalcare l’onda e sfruttare o aumentare le paure che ci costruiamo per proteggerci.
Ma quella che vogliamo raccontare è un’altra storia. Fino al primo marzo 2009 il museo di Trastevere ha ospitato una mostra fotografica dal titolo Quando l’immigrazione produce.

L’Associazione Makenoise ha organizzato un progetto giornalistico e comunicativo decisamente controtendenza, raccontando delle storie: giovani fotografi e giornalisti hanno collaborato per spiegare la notizia che qui in Italia, qui a Roma, gli immigrati fanno impresa e danno anche lavoro.

Il progetto è risultato interessante perché privo di retorica, un lavoro giornalistico partorito da Veronica Marica, un progetto giovane ed efficace. Forte della sua passione per la fotografia ha coinvolto attorno a sé un gruppo di giovani per raccontare delle storie, dimostrando che non si fa notizia solo con i fatti eclatanti, piuttosto si fa notizia con dei fatti concreti e tangibili.
I dati, in fondo, li conosciamo: secondo Unioncamere, in Italia, il lavoro degli immigrati rappresenta il 9% del Prodotto Interno Lordo e sono due milioni e mezzo quelli che pagano regolarmente le tasse nel nostro paese, che a quanto pare non è propriamente e solo nostro.
Veronica Marica ha voluto spiegare questi dati con il linguaggio che conosce meglio e ha saputo conciliare la tematica difficile che rischiava la retorica.
Le storie che le immagini e i testi della mostra raccontano sono diverse, ma hanno un unico filo conduttore: il lavoro e l’impegno.

Sonia è il volto di uno dei ristoranti cinesi della città, uno di quei ristoranti che ci risolvono la cena quando non sappiamo come sopravvivere ad una giornata che è durata otto ore al lavoro e altre due per gli spostamenti vari.
Roman, invece, viene dall’Ucraina e in Italia ci sistema i capelli, ha aperto un negozio da parrucchiere e spiega che: “È stato duro e ho sofferto, ma così è una traccia che lascio per l’Italia e anche per me, così mi ricordo che niente mi è caduto già pronto dal cielo e che ho dovuto lottare”. Espressioni che hanno il sapore antico e non per il tono malinconico, ma perché, riportano a frasi dei nostri nonni, migranti anch’essi in Svizzera, Germania, Australia e America, ovunque si potesse lavorare o forse cercare di salvare se stessi e quelli che rimanevano a casa.
Pilar ha trasformato la sua vita in un soffio d’aria, e sorride, nella foto di Alessandro Iasevoli, dietro i suoi palloncini, nel suo negozio ce ne sono centinaia, il suo ruolo è quello di colorare una festa.
Ana è peruviana, ha conosciuto le difficoltà dell’essere una migrante e ha trasformato questa sofferenza in una forza, ha un’agenzia di servizi per l’immigrazione e nelle foto di Michele Brancati è solare e carica di vitalità, la cultura e il confronto sono il suo pane quotidiano, mischia le cose e ne costruisce degli eventi culturali, l’ultimo al Museo Pigorini di Roma.
I dolci di Bebot sono sontuosi, quasi non si vorrebbero mangiare, ma dietro quella panna spalmata senza un solo rialzo, c’è lo sguardo di una donna che sta cercando di ricongiungere la sua famiglia dalle Filippine, la sua terra d’origine.
Forte, invece, è la luce di Marcela, una vera donna dei campi, dedita al lavoro della terra ma anche alla modernità. Marcela viene dalla Romania e si è innamorata dell’Italia grazie ad Albano e Romina e Toto Cutugno, che nell’Est hanno un successo che qui in Italia non riusciamo neanche ad immaginare: anche noi abbiamo i nostri migranti, ce lo dimentichiamo troppo spesso.

Donne e uomini che hanno dovuto o voluto allontanarsi da una realtà e hanno creato altro, vicino al nostro quotidiano, di cui ormai fanno parte.
Questa mostra fotografica, accompagnata dal lavoro giornalistico e da una serie di iniziative, che l’associazione Makenoise ha promosso nel corso della mostra, sono la dimostrazione pratica che l’incontro c’è, è già avvenuto e non deve essere paventato.

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