Anno 2030 Performing Arts
[ARTI VISIVE]
Non dobbiamo soprassedere all’affronto di quelle cariatidi che considerano la cultura giovanile una contradditio in terminis, ma confidare con lungimiranza nella crescente utilità sociale di quelle attività dello spirito che favoriscono l’integrazione almeno all’interno della Alternative Nation. In questo senso appare encomiabile l’azione fluidificante svolta da Image Event, un marchio che, anche prima che eleggesse come propria sede la rinomata Galleria dei Serpenti, ha dato vita ad una serie di eventi stimolanti in cui l’ipnotica concentrazione richiesta dalle esposizioni collettive trova un suo complemento in set di musica elettronica contemporanea.
Musica proposta da dj e vj emergenti, in un contesto destinato a ricevere un pubblico giovane e non più giovane ma comunque ricettivo, che si lascia irradiare sia dalle onde sonore che dalla mal a di immagini insolite.
E’ stato così per “ERTA“, per “L’impermanenza, la sospensione, il vuoto“, per “Karnival art Cirkus party“, iniziative succedutesi dalla fine del 2008 allo scorso febbraio, ed è stato cos^ anche per “Roma Anno 2030 Performing art“, inaugurata appunto lo scorso mercoledì 18 marzo 2009 alla Galleria di Via dei Serpenti 32. Il sottotitolo di questa nuova rassegna voluta dall’organizzatore e curatore Luciano Parisi. “La frantumazione dell’arte figurativa“, tanto per ribadire che il pensiero contemporaneo, affrancato dalle responsabilità delle battaglie linguistiche dichiarate dalla modernità contro i bastioni della cultura classica, è da tempo libero di elaborare sincreticamente concetti e stilemi eterogenei in un present continuous che è quello della memoria universale, un patrimonio di cui appropriarsi creativamente per contribuire a mantenerlo davvero vivo.
In quest’ottica, ma anche con occhio spontaneo libero da condizionamenti, sono apprezzabili le opere di Cinzia Nania, docente di Tecniche e tecnologia della scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, che altera e dissolve figurazioni fantasmatiche in un limbo di colore e simil-retinature post-puntinistiche usando il Pluriboll, fogli di plastica per imbottiture (quelli uniformemente coperti dalle famose bollicine piene d’aria), con cui sottopone i suoi soggetti ad un originale processo di printing, di stampigliatura, per un risultato che forse potremmo collocare tra Roy Lichtenstein e Mario Schifano, ma del tutto peculiare, perchè, frammiste alle zone stampigliate, che appaiono anche come reticoli cellulari, Nania mette in gioco campiture ottenute con interventi a collage operati con xerografie in sequenza in cui porzioni di corpo si fanno pelle di carta e pittura. Una tecnica mista che risponde ad un’estetica di contaminazione e che lascia all’immaginazione del fruitore il compito di ricomporre idealmente la visione.
Gianluca Cavallo, trentatreenne talento proveniente dalla provincia di Salerno, è invece partito, come testimonia il suo ben nutrito catalogo, da un’area di Nuova Figurazione che pure non si priva di aspetti immaginifici e atmosfere rarefatte e talvolta scomposizioni alla Rauschenberg, ma presenta in quest’occasione delle opere inedite che si distaccano dalla sua precedente produ-zione. C’è una pala lignea dipinta con smalti alla maniera pop, in cui spicca una freccia segna-letica che riporta alla franchezza e alla fisicità dei “bersagli” di un Jasper Johns ma trasferendo la loro colorata impersonalità su un supporto tripartito che riporta invece alla tradizione sacra ita-liana, come se l’artista volesse attribuire sacralità ai valori formali fondamentali della pittura. Non a caso ha realizzato ben 30 dipinti per una chiesa di Sassano, nella sua terra, dopo essersi lungamente documentato sui vangeli apocrifi. Cavallo però persegue in queste nuove opere in mostra una stilizzazione delle figure, che le pone come luogo di minimi accadimenti pittorici come sgocciolature e ruvidi tratti gestuali, e colpisce come l’uomo d’affari con due valige nelle mani, raffigurato in un quadro, appaia allo stato terminale in un altro pezzo, come puro ed esangue ret-tangolo marrone esasperato da scolature e con una testa stretta e lunga, il tutto illuminato da una luce posta all’interno dello spesso pannello che funge da supporto. E’ quello il destino del por-taborse votato al profitto? La realtà sembra smentirlo. Più ironico, nel suo impianto simmetrico, il quadro con la coppia di teatranti con in testa due copricapo conici biancorossi che altro non sono se non segnalatori in gomma di lavori in corso. Il dialogo improbabile tra i due possiamo im-maginarlo impostato sulla depilazione del manto stradale e sulla vivibilità dell’asfalto bollente…
Milay (Luigi Milazzo), romano, classe 1952, dopo una lunga evoluzione stilistica approda al prosciugamento minimale dell’arte informale: utilizza la tela, a volte di iuta, e la dipinge con una morbida cosmologia di segni che discendono in qualche misura da Mirò, ma poi incenerisce il lavoro estremizzando in modo magico ed esoterico la prassi di Burri e di Kline. Il prodotto di questa combustione (illustrata da un video accompagnato da un mistico mantra sonoro), ovvero le ceneri, vengono poi conservate in una teca di plexiglass trasparente, o in contenitori cilindrici bassi incorniciati in scenografici dischi bianchi, oppure ancora contenute in sfere di plastica trasparente forse prelevate da qualche tipo di generatore. Il procedimento è in effetti finalizzato alla libera scaturigine di un’energia cosmica della quale le ceneri rappresentano il distillato misteriosofico.
Serena DeAngelis, laureata al DAMS di Roma e transitata anche per l’Istituto Europeo del De-sign ha presentato una collezione di scatti che appaiono ingenuamente spontanei solo a chi guarda il soggetto e non allo sguardo consapevole che invece ha costruito oniricamente queste inquadrature puntando alla finzione di una evasione delicatamente perversa, dati gli azzurri bril-lanti che contrassegnano cromaticamente le immagini. Queste fanno parte di un ciclo intitolato “La maschera di Alice” in cui è il personaggio di Lewis Carroll, inseguito dall’obbiettivo, a portare una buona dose di rarefazione in scorci metropolitani distorti dal grandangolo e dal pop fiabesco dei colori suggerendo compiacimenti femminei del tutto contemporanei che giocano maliziosa-mente tra opposte polarità.
Edoardo Iosimi si concentra sulla dualità interiore dell’esssere umano: nella sorprendente eterogeneità dei suoi lavori scorgiamo una bulimia segnica che lo spinge a graficizzare allegorie inafferrabili e maschere di Agamennone, parti orali e vortici ammalianti con un’esuberanza che lo spinge a decodificare e codificare anche gli scarti tra pieno e vuoto, alla ricerca di una vitale sarabanda di forme difformi atte a comporre “la melodia dello sguardo” come polifonia visiva.
Massimo Crisafulli, nato a Roma nel “59, vanta una lunga esperienza come grafico ed ora realizza accessori fashion, ma in mostra dava spazio al lato “primitivista” della sua ispirazione, che in pittura discende dalla pittura rupestre dei Maya e da quella degli aborigeni australiani e dei polinesiani. Un decorativismo animista caratterizza le sue trasformazioni creative della materia (notevoli i suoi rami dipinti). La vivacità cromatica e la ricchezza delle tessiture e dei temi geometrici sono tipiche del suo procedere tra arcaicità archetipica e leggerezza del contempo-raneo.
Luciano Parisi, come detto, deus ex machina dell’intera manifestazione, formatosi artisticamente alla School of Visual Performing Arts di Londra, con la serie di foto in mostra allude alla natura di flusso dell’essere e lo imbriglia in fotogrammi essenziali quanto oscuri, che scavalcano la natura del mezzo con cui l’artista si è espresso e attingono una profondità ineffabile ancorchè sfuggente. La sua attitudine da curatore e scenografo lo rende particolarmente predisposto ad allestimenti fantasiosi ed eleganti, ma il suo tratto distintivo pare sia la riflessione esistenziale che conduce esemplarmente nei suoi video, in cui si mette in gioco personalmente insistendo con saggezza sulle potenzialità liberatorie della risata e sulla necessità di far leva su quel poco/molto che con buona volontà possiamo opporre ai ridicoli cataclismi che pretendono di “acchiumbarci”!
Alessandro Casanova è presente in mostra con una serie di elaborazioni fotografiche al computer che indagano introspettivamente sulle reazioni emotive, pur suscitando le medesime con frames di una soffusa carnalità, ricavate dalla trasformazione concettuale e iconica di immagini pornografiche, ottenendo una catarsi onirica del desiderio capace di farci riflettere sentimentalmente sui momenti in cui le pieghe del corpo e mentali si dilatano in ombre astratte di gestazioni limbiche.
Nella seconda parte della serata, Angelo J, dj radiofonico, pianista e videoartista ha “pompato” una tensione ritmica techno-ambient nella sala grande, mentre scorrevano le immagini di un suo video che si evolveva a partire da una foglia d’erba sino al volto meccanico scavato di un cyborg degno di una Metropolis del 2030; la scarica che ha trasmesso, e che anche il MArteLive ben conosce, ha reso molti dei presenti una sorta di “ibridi di risonanza” tra ribellione meccanografica e trance pacificante.
Contemporaneamente, al piano inferiore, si abbassavano le luci e Davide G. e 2WES, due gio-vani dj, hanno preso a estrarre da chissà dove vibrazioni profonde dal piglio radioattivo che tumu-lavano le parti atone del cervello entro compartimenti ingegneristici underground e poi le agita-vano con moti sussultori campionati da giganteschi flipper alieni intersecati con echi gamma dei bagordi di tecnici della NASA.
La lunga militanza culturale ed anche politica di Luciano Parisi già dai tempi ruggenti dello studio Art Production, attivissimo negli anni 80 grazie anche a compagni di cordata come Vladimir Guadagno alias Luxuria, Pino Strabioli ed altri, lo ha reso un moderno mecenate deciso a conquistare spazi nel panorama cittadino ed aprirli a numerose e ricche rassegne artistiche tra teatro, moda, danza, musica, pittura e performance. Parisi ha appunto il merito di aver introdotto la performance artistica in discoteche quali il Piper, l’Hysteria e il Black Out, rivoluzionando i modi standard dell’aggregazione giovanile e trasformando le serate di (s)ballo in happening multidi-sciplinari, occasioni per maturare uno stupore a più dimensioni.
Il prossimo 25 marzo, “Festa di ritorno” e concerto in galleria con il raffinato lounge screziato di soul dei Silenzio Assenzio, ma ci si attende anche un’installazione in chiave surrealista della casa di moda berlinese Thatchers. Se accorrerete numerosi, non resterete imbalsamati!