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Dolore perfetto

[TEATRO]

 A volte il teatro preferisce “trasmettere” piuttosto che “comunicare” e lo fa attraverso immagini prismatiche, che accolgono ogni interpretazione come lecita, ma nessuna come assoluta. È il caso di Dolore Perfetto, spettacolo affascinante ed onirico che debutta, in prima nazionale, al Teatro India dal 3 all’8 febbraio.
L’opera – scritta nel 1962 da Claudio Remondi – viene realizzata a distanza di molti anni dalla Compagnia Remondi & Caporossi, una delle formazioni protagoniste di quel movimento d’avanguardia che, negli anni ’70, contribuì al radicale rinnovamento dei linguaggi della drammaturgia italiana.

Dal palcoscenico emana un’inquietante atmosfera sospesa che impedisce di collocare la vicenda in uno spazio – tempo definito, immergendo i protagonisti in una dimensione perturbante e maniacale, consacrata attraverso la decostruzione del parlato.
La scena ospita, infatti, una pletora di personaggi archetipici che condividono la vicinanza senza tuttavia superare il proprio isolamento. La loro relazione si articola attraverso una struttura dialogica del tutto apparente costituita da frasi che, svincolate dalla meccanica della domanda e risposta, si alternano come un contrappunto di linee melodiche assolutamente indipendenti. Anche i percorsi logici individuali racchiudono, però, una coerenza labile che si esprime attraverso formulazioni sfilacciate, costrette ad infrangersi contro la barriera dell’inesprimibile.
Il candore asettico del loro abbigliamento riconduce la vicenda alla calura dell’estate evocando, allo stesso tempo, un contesto di internamento ospedaliero che tematizza la follia in cui il flusso delle riflessioni appare intrappolato. Il biancore sterile dei costumi – firmati dallo stesso Riccardo Caporossi – concretizza, inoltre, l’assillante propensione all’integrità morale dei personaggi, costretti a trascinare un nero carico di peccato e senso di colpa che, nella forma di sporchi pneumatici, trova redenzione solo al tocco della lugubre presenza clericale.

Il peccato più grande è proprio quello della giovane Perla che, decisa ad aprirsi all’amore, attende l’Uomo destinato a condurla lontana dalla sua famiglia che le appare – in un primo transfert edipico – con le sembianze di suo padre.
Il timorato rimorso della giovane donna si trasforma in una graduale accettazione della passione e nell’invito ad abbandonarsi agli imprevisti della vita, anche a costo di “sporcarne” la religiosa purezza. Lacerata nelle sue contraddizioni, Perla finisce per accogliere ed abitare il proprio dolore, perfetto appunto, fino a seppellirsi al suo interno.

Il cast – composto da Giuseppe Leonardo Bonifati, Vincenzo Preziosa, Armando Sanna, Pasquale Scalzi ed Alessia Spinelli – raggiunge livelli di eccellenza soprattutto grazie all’interpretazione di Alessandra Guazzini che stratifica il personaggio di Perla in una compresenza schizoide di diverse personalità, rese con encomiabile coerenza in tutta la loro eterogeneità.
Sebbene lievemente prolissa in alcuni snodi, la regia – firmata dagli “operai del teatro” Claudio Remondi e Riccardo Caporossi – appare, nel suo insieme, intrigante e musicale e lascia al suo passaggio la sensazione di aver assistito ad un’importante rivelazione su cui riflettere, però, con calma.

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