Musica: tra autonomia e business
[MUSICA]
Spenti i microfoni del Premio Tenco si aspetta il MEI a Faenza dal 28 al 30 novembre.
In attesa del principale evento italiano dedicato alle etichette indipendenti, vetrina musicale e occasione per nuovi progetti, alla Fnac di Napoli si è parlato del MEI ma soprattutto della musica a Napoli, in un vivace incontro tra alcuni musicisti presenti nella doppia antologia Sound ‘e Napoli, (Suoni del Sud), excursus tra passato e futuro della musica napoletana dedicato alla memoria di Mario Musella, cantante e bassista dei seminali Showmen.
Da Tony Cercola a Rino Zurzolo e Lino Vairetti, dai 24 Grana a Jovine, diverse le opinioni, ma comune la preoccupazione per la vitalità artistica che -secondo Vairetti- “produce tanto ma in modo dispersivo, in una città disgregata”. Istituzioni e radio locali non favoriscono la crescita e la diffusione della musica, poche sono le forme di collaborazione tra artisti, nonostante iniziative come quella della Suoni del Sud.
Com’è il battito della musica a Napoli e fuori? Quali le considerazioni di chi lavora in campo musicale nei diversi ruoli?
Abbiamo intervistato Lino Vairetti degli Osanna -presenti nel doppio Sound ‘e Napoli– che negli anni ’70 hanno segnato le pagine della storia del Rock Progressivo in Italia, al fianco del Banco del Mutuo Soccorso, del Balletto di Bronzo e molti altri.
A Vairetti chiediamo un parere sul progetto che verrà presentato al MEI per la creazione di una Rete dei Festival nella penisola. “Il progetto favorirebbe un maggior scambio tra i musicisti e tra gli organizzatori dei Festival”- afferma- “un coordinamento offrirebbe al pubblico più occasioni per fruire la musica dal vivo: molti artisti ospiti dei festival garantiscono poche tappe o delle esclusive, negando spesso la possibilità a tanti ragazzi di ascoltare e conoscere ottima musica. Riuscire a creare una serie di date per i concerti, significherebbe ridurre i costi per gli organizzatori e aumentare la presenza di un pubblico spesso escluso e lontano da grandi eventi”.
Ci parla anche della preoccupazione per i giovani musicisti e appassionati di musica. “Oggi diminuiscono le possibilità di fare musica live e di qualità: anni fa i musicisti potevano esibirsi in molti locali e occasioni. Ora i ragazzi si avvicinano alla musica in tanti modi, con le scuole apposite e le nuove tecnologie ma hanno pochi spazi idonei in cui suonare. I Festival dedicati anche agli emergenti vivono continue difficoltà soprattutto economiche, i gestori dei locali pretendono garanzie per rientrare nelle spese”.
I dati SIAE per il primo semestre 2008 evidenziano una flessione per i festival ma anche una risposta crescente da parte del pubblico. “La voglia di eventi live resta, il problema è la crisi che investe tutti, inclusi gli organizzatori dei festival: Afrakà, kermesse che curo da 14 anni nel comune di Afragola, ha ridotto di diversi giorni la sua durata. Valorizzare i Festival, non dimentichiamolo, significa valorizzare la musica ma anche il territorio, favorendo l’ indotto e il turismo, come ben sa il sindaco di Afragola, che si prodiga per eventi culturali del genere”.
La nostra chiacchierata prosegue fluida, toccando altri temi, come le note difficoltà per le piccole etichette e la necessità di forme di scambio e collaborazione tra artisti. È il punto di vista del discografico dell’etichetta Afrakà, dedita soprattutto alla produzione dei cd dei vecchi e dei nuovi Osanna e che, come tante altre, trova nella distribuzione i maggiori ostacoli. È l’opinione dell’artista, impegnato nella lavorazione dell’album in uscita a fine 2008: Prog Family, frutto di una serie di collaborazioni (Gianni Leone, David Jackson, David Cross, T.M Stevens e altri ancora) che hanno dato vita a una “formazione felice e bella” che segnerà una svolta, utilizzando per l’ultima volta i brani storici degli Osanna con una line-up nuova.
Parliamo con chi vende e propone musica al pubblico. Luca De Pasquale di Fnac, scrittore ed esperto di basso elettrico e jazz fusion.
“Le etichette indipendenti cavalcano una posizione antagonista rispetto alle major e cercano di colmare vuoti lasciati da queste ultime nella produzione musicale. Sarebbe però importante anche rispondere alle esigenze di un pubblico competente e non occasionale fruitore di musica, costretto sempre più ad acquisti online che non rigenerano l’industria discografica, nel tentativo di procurarsi titoli fuori catalogo. Mercati definiti di nicchia, ma che nelle previsioni – forse troppo ottimistiche della Long Tail di Anderson- hanno un alto potenziale di vendite e di clienti dai 35 anni in su, altospendenti”.
“Le major trascurano questo tipo di pubblico, le etichette indipendenti saturano invece il mercato con prodotti che le grandi case non hanno il coraggio di pubblicare. Il tutto con una contraddizione: spesso i colossi del disco acquisiscono i diritti dei prodotti indie, per trasformarli in mainstream. Buona parte delle colpe risiede però nella cecità dei discografici stessi, intenti a sondare il mercato in cerca di business, ma tragicamente inconsapevoli di fronte alla crisi endemica del disco”.
Il panorama musicale offre anche la prospettiva del DIY, il Do It Yourself originato dal movimento punk britannico di fine anni ’70.
Fabrizio Vatieri, voce e tastiere dei napoletani Ne Travaillez Jamais, ci descrive un flusso musicale e culturale che si pone come altro, diverso ma non necessariamente avverso al sistema produttivo delle grandi e piccole produzioni.
È lo sguardo di chi riconduce la cultura musicale e il fare musica all’esperienza dal vivo che incontra un pubblico eterogeneo e che si struttura anche in forme di collaborazione tra artisti. I concetti sono capovolti, non si parla di band emergenti, si è fuori dall’ottica dell’esperienza musicale vissuta per il successo e l’ ascesa intesi nel senso più comune del termine.
Do It Yourself. Etica anarchica dell’autoproduzione e semmai dei piccoli aggregati autoproduttivi: fare musica ed esibirsi è un modo di portare messaggi fuori dal business discografico, preferibilmente in luoghi piccoli o in centri autogestiti. È musica che rifugge le definizioni di genere rigide, che parte e arriva allo stomaco e che coinvolge altre forme di arte: i Ne Travaillez Jamais, recentemente impegnati anche in una collaborazione e in un tour italiano con i Mahjongg (K- Chicago), autoproducono i loro cd singolarmente, in copie limitate disponibili durante i concerti o con la vendita su richiesta. E il prodotto musicale si compone di altre valenze creative, con copertine fatte a mano, serigrafie, fotografie, merchandising.
Nel flusso del DIY, le collaborazioni che stentano a decollare nell’altra parte del mondo discografico, trovano realizzazione più semplice, nell’organizzazione di serate live che spesso hanno più protagonisti di diversa provenienza geografica. La musica non si impone su scaffali di negozi e di grandi distribuzioni ma arriva dritta alle orecchie e allo stomaco del pubblico, anche il più inaspettato, arrivato ai concerti grazie al passaparola e alla comunicazione via Internet.
Fuori dalle logiche del Copyright la musica si autoproduce e si riproduce, offrendosi a chi la cerca per ascoltarla e per suonarla. Non un lavoro, quello del musicista e dell’artista, ma un modo di esprimersi e diffondere cultura e arte. Non a caso i Ne Travaillez Jamais si ispirano al situazionista Guy Debord: non lavorare mai.
Dopo queste interviste ci domandiamo, con un’ estemporanea provocazione: e se le piccole e le grandi etichette traessero qualche spunto di riflessione dall’esperienza DIY? E se nella città del nostro viaggio si guardasse anche alla capacità di aggregazione e diffusione della musica offerto dal mondo dei Neomelodici? Ma questa è sicuramente un’altra storia.
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