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Un giorno perfetto, regia di Ferzan Ozpetek

CINEMA- Un silenzio assordante, una lunga rampa di scale e una tragedia angosciante, stampata su dei volti ammutoliti.
C’è sempre qualcosa di emozionante nei film di Ferzan Ozpetek: quella scena, quel momento preciso che ci dona inconfondibili brividi di pure emozioni.
Che sia tristezza, felicità, un bicchiere infrangibile o una lettera dedicata ad una persona scomparsa, ciò che ci dona il regista dalle origine turche, è qualcosa che è insito nella nostra vita di tutti i giorni.
Ormai il cinema italiano porta il suo nome come un’impronta indelebile e, dal 1997 con il suo primo lungometraggio “Il Bagno Turco”, Ozpetek ha continuato ad invadere il nostro immaginario collettivo.


Con la sua ultima opera, “Un giorno perfetto”, Ozpetek per la prima volta mette in scena un film tratto dall’omonimo romanzo di Melania Gaia Mazzucco, abbandonando così il suo primario ruolo d’autore.

La storia narra le vicende di una serie di personaggi nell’arco di ventiquattro ore: Emma (Isabella Ferrari) separata dal marito Antonio (Valerio Mastrandrea) cerca di mantenere i due figli Valentina e Kevin, con l’aiuto della madre Olimpia (Stefania Sandrelli); Maya (Nicole Grimaudo), affascinante donna, è combattuta tra un matrimonio in rovina con l’Onorevole Fioravanti (Valerio Rinasco) e l’agognata libertà con il figlio dell’Onorevole, l’universitario Aris (Federico Costantini).
Le vite di queste comuni persone, e non solo, finiranno inevitabilmente con lo sfiorarsi.

Le tematiche di “Un giorno perfetto” si diramano tra amore, violenza e forza d’animo.
Il regista getta i suoi personaggi in uno sfondo lugubre, una Roma meno brillante e accogliente del solito, che sembra stringere i protagonisti dietro a delle vere e proprie sbarre.
La loro prigione diventa la vita stessa e la realtà negativa di tutti i giorni, non fa comprendere se si stia vivendo “in un sogno o in un incubo”, perché prima o poi sembra impossibile restare ancora in piedi.
Da un lato le donne fanno quasi sempre da perno alle vicende e si districano tra silenzi e prese di coscienza, per apparire sempre più forti di quello che sono realmente; dall’altro gli uomini cedono, si rendono visibilmente irati e stanchi, al culmine del loro vuoto interiore.
Tuttavia, la domanda principale che resta è se l’amore, in qualche modo, può continuare a sopravvivere nella quotidianità di oggi.
Perché sembrerebbe che tra litigi, problemi economici e insoddisfazioni personali, ogni tipo di affetto sia destino a morire e a consumarsi.
In questo modo tutti i piccoli e preziosi personaggi del film di Ozpetek sognano l’amore ma non l’afferrano quasi mai del tutto: gli viene estirpato, ne viene separato e, qualche volta, si sceglie di non praticarlo per paura delle conseguenze.
Si ricade così in un limbo di dolore, raggiungendo l’assurdità dell’esternazione dei propri sentimenti e, nulla alla fine, ci dà quell’ottimismo che ci serve per voltare pagina.

Il film di Ozpetek rispecchia la cronaca di oggi, l’orrore trasmesso in Tv su fatti realmente accaduti e ci sazia completando quello che solitamente è solo un assaggio della “notizia”.
Seppur sia difficile da digerire nelle sue negative tematiche, che si allontanano in parte dallo stile del regista stesso, l’opera riesce a colpire come stile di regia, negli sguardi suggestivi e nei fuori campo che suggeriscono l’evolversi della trama.
Il cast, ben amalgamato, ci dona le due grandi interpretazioni della Ferrari e di Mastrandrea, limpidi nella loro sofferenza, nelle sensazioni palpabili perfino attraverso un semplice e duraturo silenzio.
Ironicamente si dice che sia “il giorno perfetto” quel giorno nella quale ogni cosa sembra non andare per il verso giusto e, a fine giornata davanti un caffè, si tirano le somme delle proprie sfortune.
In questo modo, “il giorno perfetto”, si conclude con un gustoso gelato crema e cioccolato, reso ambiguamente amaro da un’interminabile chiamata non ancora accettata.

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