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La ”stravagante” ricerca del tempo perduto

Alla ricerca del tempo perduto è la più importante opera di Marcel Proust da diversi punti di vista: infatti, oltre a detenere, secondo il Guinness dei Primati, il titolo di romanzo più lungo del mondo, si colloca tra i massimi capolavori della letteratura universale. Il motivo di tale importanza è legato soprattutto all’ambizione letteraria e filosofica dell’autore, che con quest’opera si pone l’obiettivo di scoprire l’essenza stessa del tempo con l’intento di fuggire al suo inesorabile corso, recuperando il tempo perduto con i suoi ricordi e le sue emozioni.

Insomma, un testo di certo non facile quello messo in scena al Teatro Leonardo da Vinci di Milano da La Stravaganza, un’organizzazione di volontariato no profit fondata da Denis Gaita e Laura Belisario nel 1996 e che tramite la musicoterapia e la teatroterapia cerca di favorire un percorso di riabilitazione e integrazione sociale dei portatori di disagio psichico, psicofisico e sociale. Ma cosa si intende di preciso per musicoterapia? A tal proposito, Wikipedia definisce la musicoterapia come “una modalità di approccio alla persona che utilizza la musica o il suono come strumento di comunicazione non-verbale, per intervenire a livello educativo, riabilitativo o terapeutico, in una varietà di condizioni patologiche e parafisiologiche”. Ed è proprio su questo approccio che verte l’avventura de La Stravaganza, un gruppo composto attualmente da 80 persone tra pazienti, volontari ed educatori che li vede lavorare gomito a gomito nell’allestimento di opere teatrali e/o musicali; cosa che puntualmente è avvenuta anche per la messa in scena de La Recherche.

Protagonista della rappresentazione è un piccolo Marcel Proust (Alessandro Baduini) assistito nel lettino di un manicomio da una madre-infermiera (Giuliana Mieli) che gli somministra, con caricaturale accento teutonico, flebo e al tempo stesso disillusioni sul mondo che lo circonda. Mondo che sembra quasi concentrarsi all’interno della stanzetta di Marcel, nonostante sia stata foderata di sughero per tener lontano i rumori esterni. Infatti intorno al protagonista si aggirano come fantasmi i personaggi della sua avventura spirituale; compaiono così in una prima carrellata la nonna malata, Albertine Simonet, lo “scandaloso” Barone di Charlus e tanti altri personaggi del microcosmo proustiano. Intanto in primo piano prende forma un piccolo cafè chantant con tanto di champagne, assenzio e valzer: suo è il compito di lenire le pene di Marcel per le scoperte che farà nel corso della rappresentazione sotto l’egida della madre-infermiera, sempre pronta a sottolineare come tutto finisce e come le persone siano spesso diverse da quel che sembrano. Il clima di disillusione creato dalla donna viene infatti addolcito dalle canzoni che si alternano ai dialoghi tra i due protagonisti, canzoni che spaziano da un classico come Tristano e Isotta a un classico moderno come “La vie en rose”, riveduta e corretta in La viande est rose, grazie al lavoro “partecipativo” di pazienti e terapeuti.

A supervisionare, con occhio vigile, che tutto prosegua per il meglio c’è lo stesso Denis Gaita, vero e proprio deus ex machina della rappresentazione, nonchè psichiatra, psicanalista, musicista, musicoterapeuta e presidente onorario de La Stravaganza: intorno a lui, a Laura Belisario e agli altri membri fondatori di questa ONLUS, si è consolidato, nel corso degli anni, un gruppo di professionisti che ha saputo far propria la “stravagante” terapia di Gaita&Co.

La Stravaganza ha infatti imbastito un’esperienza di musicoterapia unica in Italia, capace di portare alla ribalta vari gradi di diversità, senza ricorrere a certe strutture-ghetto tristemente note, ma utilizzando spazi pubblici come i teatri. L’obiettivo è quello di cambiare nella cultura del pubblico la classica immagine dell’handicap, nonchè i sentimenti paternalistico/pietisti ad essa correlati, generando al tempo stesso nello spettatore un diverso modo di accostarsi al mondo del disagio. Obiettivo raggiunto a fine spettacolo, quando pubblico e attori-pazienti si integrano perfettamente cantando e battendo le mani all’unisono.

L’allestimento della rappresentazione e la sua messa in scena non è quindi solo un momento di cura del paziente, attraverso l’ideazione partecipata, le prove e i vari laboratori teatrali, ma anche un modo per curare l’anima di chi si definisce “normale”, consentendogli, grazie ad uno spettacolo teatrale, di confrontarsi e integrarsi con la diversità. E in un mondo multi-tutto come il nostro una simile esperienza diventa sempre più imprescindibile per vivere meglio con gli altri e soprattutto con noi stessi.
Consigliato a tutti quelli che amano la sperimentazione.

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