FotoGrafia Festival: il Circuito (V’ parte)
[ARTI VISIVE]
Al Circuito, la sezione itinerante del FotoGrafia Festival 2008, non sono stati risparmiati scatti di denuncia e di provocazione, ed immagini forti che fanno male allo stomaco. Immagini dure che rappresentano realtà dure: verità che la coscienza deve avere presenti, perché la quotidianità non è solo il nostro piccolo mondo ma anche ciò che non sappiamo vedere.
Helmand, Afghanistan, ospedale militare britannico di Camp Bastion, non sono immagini crude perché raccolte in un ospedale, ma perchè documentano una tragedia creata dagli uomini. Marco Di Lauro, fotografo con formazione umanistica, ha la volontà storica di riportare i volti e il sangue, il reportage che è raccolto sulle pareti della Galleria Mo.c.a., piazza degli Zingari, è drammatico.
Non potrebbe essere altrimenti, perché sono il resoconto di una guerra. Ma in quei volti persi nel dolore, nell’urgenza della vita Di Lauro riesce a far percepire qualcosa che sembrerebbe impossibile trovare nel dolore voluto e creato dagli uomini: la volontà di correggersi. Una speranza colta nella decisione degli uomini e dei dottori che in quell’ospedale britannico provano a dare un nome a quelle che sono vite spezzate. Riportare un tragedia umana e conservare il rispetto per la stessa umanità che sa produrre gesti coraggiosi. Casualties on the nameless sono cinquanta scatti a cui non bisogna dare un nome così grande perché è il loro impatto sulla consapevolezza dell’essere uomo che è di portata enorme.
La fotografia mostra e dimostra, usa se stessa per indicare la verità o la descrive metaforicamente. Dietro la lente, spesso si ingrandisce un particolare. La macchina fotografica come un microscopio non tanto di oggetti ma delle nostre fondamenta sociali. La piramide è oggetto magico e legato al culto, ma più semplicemente nell’immaginario comune indica un vertice distante dalla sua base, una costruzione sociale che grazie alla religiosità o ai dogmi della politica ha sviluppato una distanza e nutrendosi di questa ha organizzato dipendenza. Pyramids Project è un concetto complesso in fotografie semplici. Un lavoro doppio che vede la collaborazione di Francesco Patriarca e Charles Danby. Una collaborazione tra il fotografo italiano e l’artista inglese che è ad ampio spettro, parte dall’architettura per denunciare, dopo un percorso di studi a Tirana (Albania), la dittatura comunista e porta questa denuncia a Londra e nella piccola Galleria del Cortile, via del Babuino. Un simbolo moltiplicato realizzato con vari materiali, senza complicazioni nell’ “edificazione” dell’immagine, una metafora ripetuta in modo da essere ridondante come un mantra o, forse, solo come un monito.
Se questi passi ci hanno fatto male o ci hanno fatto veramente riflettere adesso abbiamo bisogno di una Pausa e per questo ci fermiamo alla Libreria Odradek, via dei Banchi Vecchi, prendiamo un libro e magari ci sediamo e aspettiamo per riposarci da quello che quotidianamente ci sovraffolla la mente. Un momento in cui concedere ai pensieri e alla mente di diventare morbidi, di appesantirsi fino a spandersi nello spazio. Ad Egisto Catalani piace raccontare questo momento di distacco dal mondo e dalla corsa. Il momento in cui sappiamo o vogliamo fermarci, l’attimo in cui abbiamo la volontà di dire basta anche alle nostre stesse pretese oltre a quelle degli altri e ci fermiamo. Del resto, dopo ciò che abbiamo visto e su cui abbiamo avuto modo di riflettere, forse è giusto così.
Charles Danby, Circuito FotoGrafia Festival Roma 2008, Egisto Catalani, FotoGrafia Festival: il Circuito (V� parte)Fotogragia, Francesca Patriarca, Marco Di Lauro, martelive, martemagazine, Secondopiano2