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Una folla non è compagnia, ma solo una galleria di quadri

[ARTI VISIVE]

Chissà cosa ne pensava il Francis Bacon pittore di questo celebre aforisma pronunciato dal suo omonimo filosofo- scrittore, vissuto a cavallo del 1600… sarebbe stato impressionato…
Visto il suo carattere difficile, propenso tanto a perdersi nel clamore della vita mondana quanto a rinchiudersi nella solitudine dei suoi demoni interiori, probabilmente Bacon sa dalla folla di spettatori che in questo periodo si concentra presso il Palazzo Reale a Milano, ma soprattutto dall’esposizione delle sue opere in una mostra antologica che mira ad essere il più completa possibile nell’affrontare l’intera esperienza artistica del pittore irlandese.


In questo senso, è ancora più interessante la sezione iniziale della mostra, in cui sono esposte una serie di lavori su carta, finora mai presentati in Italia, ma anche fotografie, pagine di libri e ritagli di riviste che si rivelano insospettabili fonti di studio ed ispirazione, come le figure umane di Michelangelo, che sembrano volerci ricordare che per arrivare al disfacimento dei corpi dei suoi quadri, Bacon non poteva che partire da una rappresentazione perfetta della bellezza fisica. Un percorso del genere non sarebbe completo senza la possibilità di immergersi nel caos ordinato che era lo studio dell’artista e così, per la prima volta, è possibile curiosare con lo sguardo nell’atelier di Bacon al 7 di Reece Mews, South Kensington, a Londra, dove visse e operò per moltissimi anni. Attraverso proiezioni fotografiche sulla parete di una stanza della galleria, i visitatori possono afferrare, ad un livello quasi tattile, l’universo di pitture e tele, oggetti quotidiani e scarti in cui Bacon viveva e produceva.

Riemergendo dal magma colorato e virtuale della sua fucina londinese, si attraversano le stanze dalle pareti bianche, su cui spiccano ancor più prepotentemente la sessantina di opere esposte, quasi tutte caratterizzate da toni cromatici scuri ed intensi. E’ qui che, attraverso una successione cronologica dei quadri, l’arte di Bacon si rivela finalmente in tutta la sua potenza. Protagonisti indiscussi sono sempre l’uomo e il suo corpo, posti al centro delle tele, ingabbiati in poligoni spesso solo accennati, ma che li rinchiudono come gabbie invalicabili. Animali antropomorfi da osservare e studiare mentre dormono, mentre sognano agitati o semplicemente mentre, seduti, ricambiano lo sguardo curioso dello spettatore.

Ma Bacon non si limita a strapparli dalla realtà per isolarli nella tela: applica sui corpi un’energia, una passione tale da incrinarli, deformarli, spezzarli fino a liberarne l’anima più nera. Il pennello diventa rasoio, o meglio un bisturi che seziona con tagli netti l’uomo, lasciandolo nudo sul tavolo d’obitorio ad esibire eroticamente la malattia che lo divora, che sta consumando la società. Molto prima che Tv e fiction seriali come CSI ci facessero appassionare alle conseguenze meccaniche di ogni ferita inferta all’organismo, i quadri di Bacon raffiguravano nei corpi dilaniati la violenza del mondo. Tutto è più evidente nei numerosi studi di ritratti, per lo più eseguiti per amici come Henrietta Moraes, Isabel Rawsthorne, George Dyer o il collega Lucien Freud: soprattutto nei trittici l’impressione è quella di osservare diapositive che inquadrano il volto da diverse prospettive, ma la cui pellicola è come rovinata dall’esposizione alla luce, e si gonfia fino ad esplodere con bolle, increspandosi in grumi di colore che sembrano tumori della pelle, o squagliandosi per rivelare nella scarnificazione le arcate dentali. E più si rimane colpiti rivolgendo l’attenzione ai quadri e al tormento quasi istintivo da cui sembrano essere nati, più invece è interessante riflettere sulle numerose citazioni dello stesso Bacon, che accompagnano il percorso della mostra, e che rivelano la matura riflessione compiuta dal pittore sulla propria arte.

Fino al 29 Giugno sarà ancora possibile entrare in contatto con il lacerante immaginario di corpi dipinti di Bacon, artista tra i più ambigui e discussi dello scorso secolo, e anche per questo uno dei maggiori geni della modernità. Un’occasione irripetibile per chi lo ama, per chi lo ha conosciuto magari solo attraverso il biopic Love is the devil, più centrato sui dolori omoaffettivi che sulle sue opere, e per chi non conoscendolo, resterà misteriosamente attratto dai suoi inquietanti ma seducenti fantasmi.

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