E la Divina Commedia si fece Musical
Milano – Dopo il debutto romano del 27 novembre 2007, coronato dal successo di 45 repliche e oltre 100 mila spettatori, sbarca a Milano al Palasharp di via Antonio Sant’Elia, senza l’ausilio di barche di carontiana memoria, La Divina Commedia. L’opera. Lo spettacolo, come si intuisce dal titolo stesso, è ispirato all’omonima opera dantesca, tornata recentemente all’attenzione del grande pubblico grazie alle ormai “mitologiche” letture televisive di Benigni.
Cavalcando l’onda, Nova Ars Musica Arte e Cultura mette in scena una vera e propria opera musicale che si avvale di un impianto scenico faraonico, sul quale si esibiscono 24 cantanti, 20 ballerini e 10 acrobati vestiti con ben 600 costumi.
I nomi di grido al servizio di questa produzione sono molteplici e in campi diversi: si va da Carlo Rambaldi (indimenticato realizzatore di E.T., King Kong e Alien) a Vittorio Matteucci (qui nei panni di Dante, ma già visto in quelli di Frollo nel cocciantiano Notre Dame de Paris). Le musiche, invece, sono di “ispirazione ecclesiastica” (chissà se al Sommo Poeta questa cosa sarebbe piaciuta…) dato che sono state realizzate da Mons. Marco Frisina,direttore della Cappella Musicale Lateranense, autore delle musiche di oltre trenta film trasmessi da Rai e Mediaset e già responsabile musicale per i grandi eventi del Giubileo del 2000.
Lo spettacolo, suddiviso in due atti, per una durata totale di due ore e mezza, si apre con uno scontro “aereo” tra Dio e Lucifero, in cui quest’ultimo ha peggio e viene scaraventato negli Inferi: in quel punto esatto in cui Lucifero è conficcato inizia a svilupparsi un groviglio di tronchi, rami e rovi suggestivamente rappresentati in scena da un gioco di pannelli e video. Quel groviglio altro non è che la celeberrima selva oscura da cui Dante inizierà il suo lungo cammino di redenzione, cammino inteso come ricerca del senso della vita, come itinerario che l’uomo deve percorrere per allontanarsi dalle passioni terrene e giungere fino alla sorgente stessa dell’amore. Sua guida in questo viaggio, l’immancabile Virgilio, interpretato da un Lalo Cibelli in gran forma.
All’Inferno Dante incontra i più noti personaggi della Divina Commedia ossia gli amanti Paolo e Francesca, il suicida Pier delle Vigne, il consiglier di frode Ulisse e il cannibale Ugolino della Gherardesca. Ed è proprio dopo quest’ultimo incontro che Dante si trova faccia a faccia con un terrificante Lucifero (proiettato su un grosso telo e realizzato da Carlo Rambaldi): di fronte a questa visione il poeta fiorentino sviene e viene condotto in spalla da Virgilio a riveder le stelle: finisce così il I Atto, che merita un plauso in quanto non si discosta affatto dalla vera Commedia neanche nei testi delle canzoni, che ricalcano in molti punti i versi immortali dell’opera dantesca. Suggestiva inoltre l’impostazione delle scene che cambiano insieme allo sfondo computerizzato che riproduce icone in continuo movimento mentre la colonna sonora è una musica di chiara matrice rockettara, in netta antitesi con i canti gregoriani che saranno intonati nel II atto.
E veniamo dunque alle note dolenti (è proprio il caso di scriverlo), ossia al tanto atteso II atto che, come direbbe Dante stesso, perde la retta via e diventa una sorta di messa cantata incomprensibile ai più. Narrano le cronache che all’inizio Mons. Frisina avesse ipotizzato di realizzare tre atti, ma che alla fine, per motivi tecnici, economici e commerciali si convinse a realizzare una versione più compatta dell’opera, creando una compressione notevole delle vicende legate al Purgatorio e al Paradiso.
Come l’attento lettore avrà subodorato, la trasposizione del II e III libro dantesco non è stata di nostro gradimento, dato che ci è risultata piuttosto riduttiva e frettolosa. Dal II atto, infatti, si inizia a perdere la chiara dinamica degli eventi, anche a causa dell’utilizzo del latino, dei canti gregoriani e di un audio non perfetto, cose che hanno contribuito al parziale estraniamento dello spettatore medio.
Mentre l’Inferno è incentrato più sull’aspetto del viaggio inteso come evento curioso, ma anche e soprattutto come indagine interiore da parte di Dante- uomo, il Purgatorio fuso con il Paradiso, non contiene in sé messaggi né allegorie, ma ricorda più che altro una storia d’amore, con l’ ingombrante presenza di una Beatrice che entra in scena a mò di faraona (da segnalare, a tal proposito, lo spettacolare Grifone rambaldiano che sembra essere non un effetto speciale ma un animale in carne e ossa) e intona molteplici canzoni.
Probabilmente una gestione e una struttura diversa del II atto avrebbero fatto di questa Divina Commedia cantata un capolavoro, che avrebbe potuto avvicinare anche i due libri danteschi meno noti al grande pubblico, obiettivo, quest’ultimo, che le varie letture e riletture dell’opera del Sommo Poeta si sono poste fin dai tempi di Vittorio Gassman legge Dante.
Invece l’impressione finale è che si torni a casa con la curiosità di capire quello che è realmente successo, più che con qualche nozione dantesca in più: certo stimolare la curiosità non è cosa da poco, ma visti i presupposti attendersi qualcosa di più era d’uopo.
Un occasione persa dunque? Parzialmente, visto che comunque si è tramutata in un pretesto per riaprire la Divina Commedia che si stava impolverando in soffitta al fine di capire chi era quel personaggio vestito di blu con un sole sulla tunica che compariva cantando alla fine dell’Opera!
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