Andrea Lai si racconta a MArteMagazine
E’ uno di quelli che non ha bisogno di presentazioni, non ama definirsi personaggio ma solo uno che la musica la conosce bene, perché con lei vive, respira, crea.
E’ da molti anni impegnato a promuovere nuove sonorità nella Capitale ed in giro per il mondo creando un perfetto palcoscenico per una musica che scavalca quei “suoni allineati” dell’onda ritmica nostrana. Ma cosa ne pensa veramente della musica il Capo della Direzione Artistica della sezione dj del MArtelive, ovvero Sir Andrea Lai? Con noi di MArteMagazine non ha usato mezzi termini, anzi ci ha mostrato il lato migliore di un artista: la voglia di continuare a fare musica e bene sfidando tutto il resto.
Andrea, sei stato scelto come capo della Direzione Artistica della sezione Dj del MArteLive, un impegno che va ad aggiungersi alla lista dei compiti svolti in passato e quelli ancora presenti in agenda. Come ti vedi in questa posizione di chi sta dietro la cattedra?
Male. Non mi piace la cattedra. Per fortuna, in realtà, non sto in cattedra. Con Peppe Casa, sono anni che diciamo di voler dare il giusto spazio anche all’elettronica all’interno di MArteLive… e pian piano ci riusciremo!
Tu che sei di casa nel MArteLive cosa ti aspetti da questa edizione?
Mi aspetto che dalla sezione Dj esca qualcuno con un po’ di talento e che non stia ai piatti solo per farsi vedere.
Quale è il rapporto tra lo spazio urbano e i suoni?
Sicuramente in metropoli come Londra, New York, Parigi, Berlino lo spazio urbano con i suoi rumori induce dei suoni che qualcuno sperimentando capta ed i risultati sono spesso avvincenti e comunicano a tutto il mondo. La musica è emozione e la sperimentazione permette di trovare modi nuovi di esprimere quell’emozione, indotta anche dal panorama urbano. A Roma, purtroppo, l’unico suono dello spazio urbano sono i cori da stadio e i motorini truccati.
Le tue serate Agatha con il compagno di avventure Petitti sono una realtà ormai consolidata, ma quanto è cambiato dalla prima serata?
Quando abbiamo iniziato, la musica elettronica era in divenire. Era avvincente, non era stata ancora violentata dai vari revival che sono proprio l’antitesi dell’elettronica. Agatha ha fatto il suo percorso e poi è finita. Il Brancaleone ha deciso di dedicarsi a suoni allineati agli altri locali romani, ed i risultati si vedono… Agatha ha vissuto di tutto ciò che in musica era nuovo, caso raro in Italia dove il nuovo è bandito a beneficio della reiterazione di formule collaudate: cubista, privè, lista omaggio…
Quali sono le cose che non devono assolutamente mancare ad Andrea Lai nel dare alla luce le sue creazioni sonore?
La libertà.
Cosa vorresti cambiare, aggiungere o togliere al mondo musicale della Capitale?
Non conosco il mondo musicale della Capitale. Forse non c’è. Vedo solo tanti talenti che si sbattono senza riuscire a combinare nulla e che alla fine rinunciano. E vedo un sacco di impostori scimmiottare quello che arriva dall’estero creandone una brutta copia. Roma ormai è una città musicalmente derivativa, in cui l’”arte” è privilegio dei benestanti. Roma non produce, ma copia. Siamo come i cinesi (almeno come erano i cinesi fino a poco fa), ottimi imitatori. Abbiamo la copia di ogni tipo di musica: dalla techno all’hip hop alle cantautrici. Se fai mente locale e ti domandi: quale è il suono tipico di Roma, il suono di cui Roma è proprietaria, la risposta è nessuno. I “localari” romani comprano Dj come al supermercato, l’importante è che non siano italiani. E allora, magicamente, diventano fichissimi. Per fortuna tanti Dj italiani stanno “spaccando” nel mondo (ma qui non se ne accorge ancora nessuno). Penso a Riva Starr ai Crookers, a Santos ai Bloody Beetroots a Mowgli; nomi nuovi che fanno cose nuove sperimentando e riportando il party nei club. Noi romani siamo legati a miti che non tramontano mai, allergici al cambiamento fino a quando il cambiamento non diventa di moda allora tutti si cambia e si torna allergici. Penso male del pubblico romano (non tutto chiaramente…) e di quello italiano. Ecco, se c’è una cosa che cambierei nel panorama musicale di Roma sono gli impostori. Ce ne sono tanti, troppi, mediocri e più attenti a chi conoscono che a cosa sanno fare veramente.
C’è un rito a cui non puoi assolutamente rinunciare prima di esibirti?
Nessun rito. Di solito annuso l’aria del posto in cui devo suonare, per sentire se la gente è felice, triste, ha preso lo stipendio, ha gli ormoni impazziti per la primavera… insomma annuso tutti gli stati d’animo. In fondo ho pochi minuti per fare conoscenza di tante persone tutte insieme, no?
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