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Tutta la Vita Davanti, regia di Paolo Virzì

Partiamo dal presupposto che questo film va odiato e amato allo stesso tempo: alcune scene ci appaiono troppo romanzate e altre così realiste da farci venire una morsa allo stomaco. Eppure Tutta la Vita Davanti, l’ultima fatica di Paolo Virzì, ci spinge vorticosamente all’interno di emozioni vive e palpabili.
Ci fa ridere, sognare, arrabbiare e, infine, anche commuovere.
Perché il lavoro del regista, oltre ad affrontare il problema sempre più grave del Precariato, finisce per toccare soprattutto il cuore e l’anima degli studenti fuorisede, che in prima persona affrontano la minacciosa realtà di porte sbattute in faccia e di un classico “le faremo sapere”.
La storia è incentrata su Marta (Isabella Ragonese) una neolaureata in filosofia con tanto di lode, che sta per tentare l’inserimento nel tanto agognato mondo del lavoro che scoprirà che non è tutto oro quel che luccica non appena entrerà a far parte del Team di centraliniste della Multiple Italia.

Virzì centra in pieno il problema del precariato, condannando una soluzione che ancora non è stata trovata.
Il regista parla del disagio di persone diverse che, tuttavia, sono accomunate da quel risentimento verso delle regole inesistenti e si fa anche primario portatore di quella ormai lontana Commedia all’Italiana, che portò prestigio al nostro cinema, mescolando la tragedia con la beffarda ironia.
Altri nomi di spicco nella pellicola sono quelli di Sabrina Ferrilli, Massimo Ghini, Valerio Mastandrea ed Elio Germano, già apparso nella precedente opera del regista, N (Io e Napoleone).
Interessante è anche il contrasto che ci viene mostrato tra la protagonista Marta e l’amica centralinista Sonia, tra intelligenza ed ignoranza, morale ed estetica. Forse è anche questa ignoranza che ci getta in una depressione collettiva, in una realtà ormai con scarse speranze di ripresa.

Una nota di merito va anche alla voce narrante che di tanto in tanto fa capolinea nella storia, che si rivela essere quella di Laura Morante, quasi rendesse il film una lunga favola dai toni macabri.
Insomma, Virzì riesce a gestire perfettamente il percorso narrativo, risultando piacevole agli occhi dello spettatore: corriamo insieme ai protagonisti, fino ad esplodere ed impazzire, ritrovandoci tra le braccia di una cortese vecchia generazione, con la quale sfogarci e versare amare lacrime. Perché è fin troppo dura avere tutta l’intera vita ancora consapevolmente non vissuta ed essere già stanchi solo al principio. E’ snervante non avere una semplice parola gentile e cercare di avere speranza, quando ogni sforzo sembra inutile.
Non piace questa realtà a Virzì e non piace nemmeno a noi.
Ma non appena ci giunge la dolce e rassicurante voce di un’antica Doris Day con la sua “Whatever Will Be, Will Be”, ripensando al futuro ancora non vissuto, ci ripetiamo anche noi “Quel che sarà, sarà”…

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