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Canadians + Discodrive + Port Royal Live @ Circolo degli Artisti

E’ una serata particolare quella che accoglie Canadians, Disco Drive e Port-Royal sul palco del Circolo degli Artisti di Roma.
Arrivo con qualche minuto d’anticipo allertata da un post sulla pagina Myspace dei Canadians che sottolineava la loro esibizione per primi.
Dopo un’oretta inizia il concerto.
I Canadians montano i loro strumenti sul palco di fronte ad una piccola platea che cresce proporzionalmente all’orario.
L’atmosfera è da subito molto sixtie’s, luci violacee che sfumano nell’azzurro di Sailor Summer e Ode to the Seasons per passare al verde di Love story on the Moon, suonate senza pause e con un ritmo incalzante.
Duccio Simbeni canta guardando il pubblico senza scomporsi, ma noto una certa ispirazione nei suoi occhi celati dalla montatura nera dei suoi occhiali.

I coretti che il tastierista Vittorio Pozzato intona in Summer teenage girl mi fanno immaginare un concerto sulla spiaggia e dopo qualche minuto mi dimentico di essere sotto il tetto di un locale romano.
Indossa una maglietta che noto subito per la sua scritta “Everything is bigger in Texas” e che collego subito all’esperienza del South By South West di Austin, in Texas, uno dei festival internazionali più prestigiosi in cui la band veronese si è esibita lo scorso Marzo.
I Canadians continuano la performance live proponendo un brano nuovo Now or Never, che si distingue dagli altri pezzi per un mood più forte, più rock.

Decido che il pezzo mi piace moltissimo, così come confermo con Soon Soon Soon la particolarità e la bravura della band, anche dal punto di vista tecnico.

Mi colpisce il loro modo di esibirsi, professionale e corposo, nitido e morbido come il loro album
A Sky With no Stars (Ghost Records), ma senza tralasciare la vena rock.
I Canadians (vincitori dell’edizione 2006 dell’Heineken Jammin’ Festival Contest e del Myspace Contest 2007) ai miei occhi di spettatrice-osservatrice si confermano come una realtà discografica interessante, da monitorare, e ho l’impressione che anche il pubblico del Circolo degli Artisti abbia avuto la stessa sensazione.

Inizio a pensare che le nuove leve della musica italiana (quella buona!!), rigenerata e volta al mercato internazionale, siano forti e competitive anche dal vivo e che il passaparola che si genera sui canali di comunicazione confermi la selezione di pubblico e critica che inizia dal basso, dai gusti della gente vera, dei ragazzi che ogni giorno accendono il proprio pc e scovano interessanti esempi di band italiane, che non fanno parte del mainstream generale ma che lo calcano, magari vedendoli passare alle 3 del mattino su MTV.

Il concerto dei Canadians finisce prestissimo, dura meno di un’ora per lasciare spazio alle altre due band che si esibiscono, Disco Drive e Port-Royal.
La sala si riempie mentre si preparano a salire sul palco i Disco Drive.
Non conosco bene la band, ho ascoltato qualche pezzo di sfuggita, sono di Torino e hanno collaborato con Max Casacci dei Subsonica, quindi cerco di approfondire.
I Disco Drive mi lasciano da subito impietrita ad ascoltarli, guardarli muoversi freneticamente, osservare il loro stile, la loro energia.

Fatico a credere che siano un prodotto italiano, mi piacciono da morire!
Iniziano il concerto con un gioco di specchi, batteria contro batteria, modulando la voce in tre echi lunghissimi, scambiandosi i ruoli.
Suonano la dinamica Goodbye alzandosi di continuo ma senza mai perdere il ritmo, animando il pubblico con uno stile che non è definibile perché influenzato da una miriade di impulsi sonori provenienti da vari generi.
Ad un certo punto il batterista si alza per andare alla chitarra, indossa un paio di shorts anni ’80 gialli e cortissimi. La cosa mi fa pensare ad una particolare attenzione verso un certo tipo di stile e di spettacolo, sperimentale, innovativo, diverso.
In A Long Way to Top mi ricordano i Klaxons con il loro ritmo incalzante e provocatorio, un perfetto mix di elettronica e punk rock, la chitarra viene suonata perfino con i denti modulando una distorsione che si addice molto al loro stile.
Anche la band torinese conclude dopo una decina di brani lasciando il palco ad un’altra realtà italiana,
i Port-Royal. Differenti per stile e genere i tre artisti genovesi salgono sul palco accompagnati da altrettanti Mac e da un’atmosfera blu, soffusa, caratterizzata dalla diffusione di numeri che diventano musica in tutta la sala.
I Port-Royal non comunicano con la voce, lasciano ai loro computer specificare che non si tratta di un dj set, ma di un concerto. Parole e immagini scorrono sullo schermo, parte integrante del palco.

Propongono diversi brani dal loro nuovo album Afraid to dance, come la bellissima Decadence, pure onde sonore che si infrangono sulla pelle dei presenti.
Un’elettronica sofisticata, una perfetta colonna sonora, d’atmosfera e di qualità.
Esco dai concerti soddisfatta, pensando alla svolta internazionale che band così buone stanno ottenendo e con la speranza che il mercato discografico italiano riesca a guardare oltre il suo naso, offrendo anche al pubblico “popolare” e non di nicchia, la possibilità di sperimentare ascoltando nuove realtà.

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