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Stefano Scarfone al Teatro 7 di Roma

Il fatto è che sono arrivata in ritardo perché non riuscivo a trovare il Teatro 7. Quindi, quando finalmente sono riuscita a mettermi seduta ero tutta trafelata e niente affatto nella giusta disposizione d’animo per ascoltare.
E’ passato qualche minuto. Sarà stato l’effetto della piccola sala gremita di gente attenta, o piuttosto dell’aria che si respirava in quella sala,

fatto sta che ho cominciato a sentirmi a mio agio e, nonostante un’incipiente influenza, mi sono sentita rapire dalle note che Stefano Scarfone ed i suoi compari tiravano fuori dai loro strumenti.
C’è da dire di questo giovane compositore e musicista di cui, prima di questa serata, non sapevo davvero niente se non che sta cercando di promuovere un lavoro quasi interamente strumentale dal nome Estrella, che il suo è davvero un viaggio sensazionale nella musica mediterranea.

Eppure i minuti passavano ed io mi sentivo irresistibilmente attratta non solo dalla musica, ma anche dalle sue mani che confluivano nella chitarra classica che stava suonando come se fossero solo propaggini della stessa e non arti ad essa del tutto estranei; un modo di muoversi, poi, del tutto amoroso, tipico di tutti quei musicisti che sembra stiano amando il loro strumento quando lo suonano, proprio come se fosse una compagna/o in carne ed ossa da amare di un amore tenero, forte, dolce ed avvolgente.

E’ stato un attimo e mi sono sentita persa in una sensazione estatica dovuta alla godibilità delle armonie, ma anche di quelle performance acrobatiche che rendono i suoi live ancora più affascinanti: avete mai visto qualcuno che usa la chitarra come uno strumento a corde e come uno strumento a percussione, ma anche come un giocattolo prezioso da far voltolare nell’aria in acrobazie insospettabili? Stefano Scarfone è capace di questo e di molto altro, a dir la verità: mescola sapientemente ritmi e suggestioni molto diversi tra loro, passando dalla musica mediterranea in senso stretto (il flamenco) alla musica etnica con sonorità arabeggianti e/o italianeggianti (e cioè quelle sonorità disperse nella notte dei tempi che accompagnavano le orecchie dei nostri nonni e di quelli prima di loro), ma anche Latin jazz, swing, rock, musica balcanica e chi più ne ha più ne metta.

Non risulta mai noioso, né ripetitivo, neanche quando sceglie di rivedere e correggere Redemption Song di un grande come Bob Marley, o di toccare le difficili sonorità balcaniche con czardas. La sua capacità di convogliare l’attenzione degli spettatori sulle sue note ha il sapore di una magia antica fatta di ritmi e melodie davvero formidabili. La cosa sensazionale che ho provato in prima persona, è davvero il fatto che, nonostante l’indubbia capacità tecnica e la notevole proprietà dello strumento, che studia fin da bambino, quello che accade in un concerto di Scarfone è che è davvero la musica a fare da padrona: le corde pizzicate, strusciate, tirate, percosse, amate, e le sonorità che producono sono le uniche ed indiscusse vere protagoniste di un palco in cui a dar manforte ci sono anche una batteria (Andrea Ruta), un basso (Alessandro Sanna) ed un piano (Fabio Zaccaria).

E ora, che sto ascoltando le 12 meravigliose tracce del lavoro, le emozioni riaffiorano indimenticate prendendo di nuovo vita e togliendomi le parole.

Vi segnalo, per affinità del tutto personale, Madrid, The Tree, Hypnosys e Love Tango, per cui ho una predilezione davvero inspiegabile, o anche Sweet Gypsy, dall’anima e l’impianto gitano, ma vi posso assicurare che ogni traccia è un viaggio diverso e inspiegabilmente imparagonabile al precedente: nel cuore dell’anima gitana, che si è persa nella notte dei tempi e delle stanzialità varie; nel cuore della cultura mediterranea, crocevia di contaminazioni culturali e di popoli e tradizioni diverse; ma soprattutto, nel cuore di Scarfone stesso, che ha tanto da dire e che, a fine serata, ci ha promesso che presto sentiremo parlare di lui con un nuovo disco.

Noi aspettiamo, quindi. E nel frattempo continuiamo a sognare di viaggi e di vita…

Grazie Stefano!

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