L’eleganza del riccio
LIBRI- Qualora vi capitasse di passare dalle parti del settimo arrondissement di Parigi, fate una sosta al civico 7 di rue de Grenelle. Vi accorgerete che a quell’indirizzo corrisponde una sfarzosa boutique di Prada, ma se credevate invece di trovare il lussuoso portone di un aristocratico palazzo, e un citofono d’ottone che recasse incisi nomi del tipo Pallières, Josse, Arthens, ma anche Badois, Rosen o de Broglie; se dall’uscio aperto speravate di sentire un untuoso olezzo di cucina o di cogliere le note di una sinfonia di Mahler che soccombe al chiassoso vociare di un televisore…beh! Potete stare sicuri che non avete letto invano L’eleganza del riccio di Muriel Barbery.
Questo clamoroso caso letterario del 2007, che in Francia ha scalato le classifiche vendendo una messe di copie in poche settimane, è scaturito dalla fantasia di una trentanovenne docente di filosofia, originaria della Bassa Normandia, che ha affidato l’ordito narrativo di questo suo secondo romanzo a due voci femminili a prima vista tanto differenti quanto legate da un’intima inclinazione alla simulazione.
La prima è quella di Renée, sagace portinaia di un edificio abitato da intellettuali tendenzialmente di sinistra, che rivela un vero talento drammaturgico incarnando maniacalmente lo stereotipo suggerito dalla sua mansione di custode della pulizia condominiale: ostenta uno sciammanato modo si vestistire, colma le sue sporte di pantagrueliche derrate alimentari (destinate in realtà ad un gatto di nome Lev), sintonizza il televisore su programmi di basso intrattenimento, salvo poi rifugiarsi nell’antro della sua guardiola a leggere, lontana dagli occhi dei condomini, romanzi russi o saggi filosofici, e a coltivare raffinati gusti in campo musicale e cinematografico.
Il secondo personaggio è quello di una ragazzina dodicenne, Paloma, figlia di un ricco deputato che abita al quinto piano dello stesso palazzo. Anche lei dissimula una straordinaria intellligenza e una imprevista lucidità conformandosi alle abitudini delle sue coetanee, vestendo come loro, evitando fra i banchi di scuola di tradire il suo ingegno critico, per poi affidare segretamente ad un diario l’acerba avversione verso l’apparente rispettabilità della sua famiglia, il disincanto per la vacuità degli ideali dell’età adulta e per l’immobilismo della vita, al quale si è riproposta di sfuggire fissando il proprio suicidio per il giorno del tredicesimo compleanno.
A scompaginare i piani di questa astuta messa in scena delle due protagoniste giunge a un certo punto un nuovo inquilino. Si tratta di un facoltoso giapponese, monsieur Kakuro Ozu, che con i suoi modi raffinati da colto gentiluomo disvela il segreto occultato dietro il sembiante di una esistenza da hérisson. Sono questi i tre vertici di un triangolo di solitudine (di quel pane che non sazia mai, neanche se profumato al coriandolo), entro i cui confini si articolano le dinamiche di un condominio che non ha alcuna pretesa di assomigliare al mondo, né di esserne una citazione, quanto piuttosto di restituirne la fragile incostanza.
Joubert sciveva che cercando le parole si finisce per trovare dei pensieri: è ciò che accade in questo libro, dove perlustrando tra verbi modali e leziose locuzioni di una lingua tornita ed ironica può capitare di scoprire un’autentica grammatica della Bellezza, che tiene insieme l’illusione di una camelia e il goloso aspetto di un gloutof, che si annida nella dettagliata pennellata di Vermeer o in un colto rimando a Proust, e magari confonde anche il rumore di uno sciacquone con il Requiem di Mozart.
Serviva proprio alla stanca e sfilacciata letteratura dei nostri giorni un gradevole esempio di fenomenologia di un’impostura…elegante.
A proposito, se vi state chiedendo a cosa serva l’Arte, non abbiate fretta a darvi una risposta, aspettate almeno la prossima pioggia d’estate.
Muriel Barbery, L’eleganza del riccio, edizioni E/O, pp. 335, 18 €