Coverizziamoci
[PER QUEL CHE VALE]
Il caso meglio riuscito di nuovo senso donato ad uno spazio è senza dubbio quello della Casa del jazz. La meravigliosa villa confiscata alla banda della Magliana dal Comune di Roma e rimessa a nuovo come luogo di cultura, in questo caso jazzistica. E così sta capitando in altre ottime occasioni. Ridisegnare un significato a uno spazio, da industriale a culturale ad esempio. In musica è precisamente ciò che si fa con le cover: si prende un brano e si prova a trovare al suo interno dei nuovi respiri, dei nuovi segreti, una linea di lettura ancora inusitata. Avete presente la “A chi” di De Gregori? Grezza, sporca, lontanissima dalla versione del buon Fustone Leali. Avrete senz’altro presente la “Almeno tu nell’universo” di Elisa, tutta vissuta internamente, introspettiva, volutamente legata, tenuta, quasi opposta al grido di dolore di Mia Martini. O la “Knocking on heaven’s doors” dei Guns’n’roses che rileggevano Dylan con l’aggiunta di tanta elettricità. Bello. Spiazzare l’ascoltatore con nuovi significati. L’ascoltatore? Ecco. Questo è il punto. Mi spiego meglio: il recupero di spazi altri per donare loro un senso culturale è davvero auspicabile. Utilissimo. Ma come li riempiamo tutti questi spazi?
Mi spiego ancora meglio: un tempo mancavano gli spazi. Per la cultura, per l’espressione artistica, per la vita politica. Ci si lamentava. Talvolta si diceva “andiamoceli a prendere” gli spazi. Era, probabilmente una vera esigenza che oggi, però, risulta un po’ anacronistica, a meno ciascuno di noi non voglia un SUO spazio su misura, ma per quello, credo basti la rete, portarlo in strada risulterebbe complesso. Un tempo mancavano gli spazi. I contenitori di cultura. Ecco: oggi mancano i contenuti. Nel senso di persone dentro lo spazio. Il rischio culturale del nostro tempo è questo. Gli spazi ce li abbiamo e ben vengano i nuovi, ma si rischia di farli tutti chiudere se non troviamo le persone. Su quello la politica ha un po’ di difficoltà in più. Sebbene Roma abbia tirato fuori dalle case migliaia di cittadini, il rischio è che cose belle si possano facilmente perdere in un bicchier d’acqua.
Coverizziamo dunque gli spazi, ma coverizziamoci.
Mi viene in mente il riciclaggio.
In un clima dove è saltata improvvisamente fuori l’annosa questione dei rifiuti campani, il riciclaggio è un tema perfetto. La villa della banda delle Magliana ha subìto un riciclaggio, appunto.
E come al solito mi viene in mente qualche parola d’artista da legare a doppio filo alla nostra questione. Sono Gaber e Luporini per lo spettacolo Libertà obbligatoria. Fatene ciò che volete. È un regalo…
IL DONO
Oh! Mi è arrivato un dono. Che bello! Qualcuno ha pensato a me.
Sarà un Brion Vega… Eh no, su questo non ci cago! Chiaro: quando sono nei negozi… tanti… e allora ha anche un senso rompere tutto. Ma questo… me lo metto in camera e…click! Capodistria. Un po’ sdoppiato però. Queste cose mi fanno impazzire… (gesto come a regolare il televisore) Meno contrasto: migliora… però fa la neve! “Va bene, va bene così, non lo toccare, andava benissimo” gli altri dietro “Andava benissimo!” Hanno sempre paura che lo peggiori. E no! Lo miglioro, io, no? E poi è mio! Me l’ha regalato lo zio.
Bello il senso del dono, questo gusto che si sta perdendo di godere della gioia dell’altro…
Maledizione! Ora devo contraccambiare. Questa è l’insidia del dono.
La donazione, oggi, è sospetta di intenzioni inconfessate, e allora ti viene la fretta di sdebitarti. Tremendo!…
No, non per i soldi. Scegliere qualcosa… per lui. Cercare nelle sue gioie, capire cosa ama, qualcosa che lui possa toccare con gusto… entrare… Praticamente pensare a un altro… come fosse un soggetto.
Impossibile. Divento matto. Che Natale!
Ma non sarebbe meglio mandarsi del denaro? Diecimila a te… diecimila… diecimila… poi ritorna… La catena di santantonio! Impossibile. Lo zio è sensibile, ci vuole qualcosa di più affettuoso… (pensa, guarda) Il frigorifero ce l’ha… e poi gli manca quel calo… No, a me piace il frigorifero: discreto, educato, silenzioso… bzzz… un po’ freddino, nordico, socialdemocratico… mi trovo bene. La lavatrice non la sopporto: latina, carattere spagnolo, sanguigna, tremenda, calda, invadente… trrr-popo trrr-popo… non sta mai ferma, va lì a tampinare la lavastoviglie… Già, c’è anche la lavastoviglie… il bidone aspiratutto… il frullatore… il tostapane… l’affettatrice…
…Aiuto!… (si guarda in giro) sono circondato… bisogna fare qualcosa, aiuto! Altro che zio, bisogna fare qualcosa… aiuto… sono circondato… Che vogliono?… Io non ci ho niente!… Chi sono?… Io non ci ho niente di mio… Io spezzo tutto, rompo, distruggo, butto via… io… ecco, via!… fuori dalla finestra, via, una montagna… ecco così… le case vuote, tutto nella strada… fuori, via!… Montagne, montagne di rifiuti… scatole, cartacce, stracci, cocci… buon anno!… pentole, cucchiai, una ruota di bicicletta… una ruota di bicicletta?… sì, una ruota di bicicletta!… pannolini, pillole, escrementi, vasi da notte, attaccapanni, mezzo armadio, un camion, una nave!…
Mi sono lasciato prendere la mano.
Non importa, una montagna, una montagna di…
Ogni giorno una città come Milano accumula duemilacinquecento tonnellate di rifiuti… duemilacinquecento tonnellate…
C’è da pensarci. Intendiamoci, non si può dire alla gente di consumare di meno e di produrre di meno. È un’utopia.
L’unica salvezza è il riciclaggio dei rifiuti… o la disintegrazione.
Io sono per il riciclaggio. Mi sembra più serio come lavoro e meno di spreco. Bisogna organizzarsi bene, selezionare, catalogare, classificare… e tutti al lavoro per il riciclaggio. Certo, anch’io, mi piace, ce l’ho nel sangue il riciclaggio, io… è una questione di coscienza. Avanti, al lavoro, in quest’ammasso di roba enorme, anche schifosa. Non importa, cerca, distingui, ammucchia: le plastiche da una parte, il riciclaggio è un lavoro collettivo, importante, da fare con un certo impegno, tutti insieme, certo, le plastiche da una parte, e poi i vetri, e poi i metalli, buoni i metalli, ecco, da una parte, con cautela, e gli escrementi… ce ne viene di roba con quelli… No, il gatto no… non c’entra. Via di lì! Di chi è questo gatto? È vivo per di più… Attento che ti riciclo, che poi arriva la macchina che ti schiaccia, ti fa un pacchetto, ti fa un cubo, attento devi scappare, anch’io, anch’io!… Clack! Riciclato… Con la merda!