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U2 Live uno show a 360°

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[MUSICA]

palco_3MILANO- Ebbene sì, lo ammetto: non sono mai stata una grande fan degli U2. Sono cresciuta ascoltando Boy, October, Rattle and Hum e The Joshua Tree, ma non mi sono mai appassionata al quartetto irlandese. Proprio per questo motivo ero un pò restia nell’andare a San Siro, ma ho messo in spalla il mio caro zainetto e ho deciso che era arrivato il momento di assistere a uno dei più grandi show del mondo, almeno in termini di numero di spettatori.


E’ stato definito il concerto evento dell’anno, ma in realtà i dati smentiscono questa affermazione: vada per i 120.000 presenti alle due date milanesi, ma gli AC/DC hanno battuto tutti i restanti record (tempi di vendita, prezzi e richiesta di biglietti…) dopo otto anni di assenza dall’Italia.
Sorvoliamo la parte statistica, e torniamo a cosa è accaduto allo stadio Meazza martedì 8 luglio 2009.

Il nuovo tour degli U2 prende il titolo di 360° e la struttura che si portano dietro per il mondo spiega il motivo di questo nome. Bono Vox e compagni dopo il Vertigo tour del 2005 ci hanno preso gusto e anche questa volta si presentano con un palco che non smentisce la spettacolarità della band. Si chiama “The Claw” e ha le fattezze di un artiglio con quattro lunghe braccia meccaniche e con  un enorme led a nido d’ape al centro, visibile appunto a 360°. L’impatto nel vederlo graffiare il prato dello stadio è da brivido, sembra di assistere a una scena del film “La Guerra dei Mondi”.
San Siro verso le 21.00 inizia a riempirsi di spettatori, l’attesa è interminabile e per smorzare la tensione si organizzano hola e cori. Alle 21.15 circa si spengono le luci sull’artiglio e un gruppo di body guard scorta sul palco Larry Mullen…comincia lo spettacolo! Da sotto il palco escono in ordine: The Edge, Adam Clayton e per ultimo, accompagnato da urla di delirio, Bono Vox.

All’inizio la band ci impiega un po’ per carburare, ma quando l’enorme macchina è calda e al massimo delle forze, lo show diventa un susseguirsi di emozioni, ricordi legati a brani entrati nella storia e di urla di stupore per ogni singola luce o immagine che proviene dal palco.
Bono indubbiamente è uno dei frontman più carismatici degli ultimi vent’anni. Afferra dalle mani di uno spettatore una bandiera italiana, la poggia sull’asta del microfono e vi si inchina davanti suscitando le urla di approvazione e ringraziamento di tutti i presenti. Corre come un forsennato sulla passerella situata intorno al palco circolare e rotante. Boxa con la telecamera e canta come se parlasse a ogni singola persona. Il live procede con un susseguirsi di brani cult e di proiezioni cariche di contenuti.

Tra le note di “Walk On”, decine di ragazzi di tutte le etnie sfilano sulla passerella indossando una maschera raffigurante il volto di una donna forte e carismatica: la leader birmana Aung San Suu Kyi, dal 1989 agli arresti domiciliari per avere avuto il coraggio di denunciare pubblicamente le ingiustizie subite dal popolo birmano da parte dell’esercito del generale Ne Win.
Le immagini del Reverendo Desmond Tutu ci raccontano di uomini coraggiosi che lottano tutti i giorni contro le barbarie nei confronti di popolazioni più deboli, di persone comuni che alzano la voce per far sentire al mondo che non vogliono più assistere a violenze, fame e guerre. Al termine del suo discorso le luci sul palco si colorano di rosso ed è il momento in cui, lo ammetto, il corpo è pervaso da brividi di commozione: l’intro dell’organo annuncia “Where The Street Have No Name”, il primo bis.
Mi guardo intorno e scorgo lacrime liberatorie ovunque e, quando subito dopo giunge “One”, il Meazza si riempie di canti che colpiscono e travolgono anche la band.
Divertente  l’originale conclusione di “Angel of Harlem” con Bono che si diletta in un’improponibile imitazione di Michael Jackson sulle note accennate di “Don’t Stop Till You Get Enough”.

Per la maggior parte del concerto mi sono chiesta quale diavolerie celasse The Claw e su “I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight” e “Vertigo”, finalmente l’artiglio dà sfoggio di tutte le sue risorse nascoste: lo schermo si apre a formare un enorme cono intorno alla struttura centrale, le luci si propagano come razzi verso il cielo e tutto lo stadio viene pervaso da fumi, luci e decibel da rompere i timpani.
Una breve pausa e gli U2 escono nuovamente per il secondo bis. Bono indossa una giacca che emana fasci di luci rosse, afferra un microfono sceso con un cavo sul palco e canta come se commentasse un incontro di boxe. Prima di salutare i 60.000 fan la band ci regala l’ultima emozione con “With Or Without You”.
Escono dalla scena e il responso finale è un concerto spiazzante, imponente, ma allo stesso tempo intimo. Ci sono stati attimi in cui, osservando i volti vicini, si percepiva l’empatia di ogni singolo come in un dialogo personale con i quattro irlandesi.

Paola D’Angelo

martelive, martemagazine, Milano, musica, U2

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