Italia e Arabia: le soglie delle donne
[DIMODA & DEMODE’]
Per questa settimana la storica rubrica di Ilenia Polsinelli ospiterà la recensione di una mostra in svolgimento a Roma sul rapporto artistico, tutto al femminile, tra Italia e cultura araba. La scelta di operare questo “cambio”, scaturisce dall’improvviso interesse, in ambito culturale, culinario, della moda, politico che la cultura araba suscita nel nostro Paese e la recensione curata da Asia Leofreddi è in qualche modo anche una spiegazione di questa tendenza… Napoleone disse: “Se una donna tiene una carrozzina con una mano, pensa come potrebbe muovere il mondo con l’altra“. Proprio per non lasciare spazio all’immaginazione, ma per dimostrare praticamente come la sensibilità femminile possa essere strumento di dialogo artistico e politico, è stata inaugurata la mostra Soglie A/R – Nawafeth.
In esposizione quadri, foto, sculture, manufatti artigianali di trenta artiste italiane e arabe, che dopo essersi incontrate ed aver esposto insieme nel maggio 2007 a Rijadh, si ritrovano ora a Roma, nel Museo di Roma in Trastevere.
La manifestazione, organizzata dal Ministero e dall’Ambasciata della Repubblica Italiana a Rijadh, con la collaborazione di “Al – Nahda Philantropic Society for Women”, si pone l’obiettivo di dimostrare la possibilità di uno scambio culturale pacifico che permetta lo scavalcamento dei pregiudizi, non solo attraverso l’avvicinamento di due culture ma anche delegando la gestione dell’impresa alle donne, sovvertendo così l’abitudine ad una cultura basata su rapporti maschili. Ma non solo. L’esposizione tiene anche a dimostrare i rapporti bilaterali che intercorrono tra Italia e Arabia Saudita sia sul piano politico che sociale: infatti vuole essere anche una sintesi culturale che si rivolge a quegli arabi che vivono a Roma, nella speranza d’incoraggiarli ad una presenza attiva e non ad una sottomissione acritica rispetto alla cultura ospitante.
La dimostrazione degli obiettivi elencati è riassunta nel titolo stesso della mostra. Come è scritto nel catalogo di presentazione: “La parola italiana soglie e il termine arabo nawafeth non hanno punti di “fusione“. Piuttosto, punti d’incontro, a partire dai quali esplorarsi nel tentativo reciproco d’interpretarsi“. Infatti la mostra, divisa in cinque sezioni che rappresentano i cinque sensi, si presenta come un’esposizione in cui chiari sono i confini culturali, dove quindi non si assiste ad una mescolanza forzata, ma piuttosto ad un’unione in cui le identità vengono mantenute tali.
Interessante sia l’idea del dialogo attraverso l’arte sia l’aver reso protagoniste dell’evento artiste donne. Due infatti sono i modi per cambiare effettivamente gli stati del mondo: la politica e la cultura e il fare dell’arte che ha la grande forza di mettere al riparo dai pregiudizi, in quanto si basa su esperienze concrete quanto eterne. Il riconoscimento universale della bellezza e del fare artistico permettono infatti esperienze a volte impossibili nel quotidiano, come se in fondo, in quest’ambito, tutto fosse permesso. Ciò che lascia perplessi però, in questo caso come in tanti altri, sono le modalità in cui viene sfruttata questa impagabile potenzialità. Innegabile è che il concetto sottostante a manifestazioni culturali di questo tipo sia il “multiculturalismo” a cui si attribuisce l’esigenza di riconoscere pari dignità alle espressioni culturali di gruppi che convivono insieme in società democratiche, insieme al loro diritto di scegliere come conservarsi o come cambiare. Il problema è che nella pratica l’applicazione di questa virtuosa idea sembra spesso tradursi in una volontà di sfida che paesi avanzati attuano nei confronti della loro stessa capacità di tolleranza.
A volte sembriamo compiacerci così affannosamente delle nostre aperture da far risultare anche queste come una sottile dimostrazione di una qualche nostra superiorità. E’ un rischio e bisognerebbe sempre fare un po’ d’attenzione, anche se forse non è il caso di questa mostra. Sicuramente questa sul piano umano ha avuto un suo spessore, soprattutto per i protagonisti coinvolti e non è neanche stata ingenerosa nel suscitare emozioni e curiosità nell’osservatore. Il suo problema però è il suo essere tranquillizzante. Le opere presentate infatti, anche se alcune decisamente belle, riflettono un modo comune di pensare alla cultura araba come a quella italiana. Gioielli, manufatti, ceramiche toccano un gusto già riconosciuto di valore dall’uomo comune. Forse, se si vuole effettivamente creare un dialogo non bisogna passare solo per il bello, per il piacevole, ma anche e soprattutto per la forza del concetto. Bisognerebbe forse strutturare l’esibizione in modo da ospitare opere in grado, non solo di mostrare le diverse peculiarità culturali, ma anche il progresso di una cultura in grado di mettere in dubbio la nostra. Non abbiamo infatti bisogno solo di tranquillizzarci rispetto alla diversità, questo deve essere il risultato di un percorso che deve passare prima per la necessità di essere spaventati, in senso positivo, da forze culturali che dobbiamo imparare a percepire nelle loro infinite potenzialità. Per capire l’altro non basta guardarlo, c’è bisogno di sentirlo profondamente, anche solo per un momento.
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