Shoah ed Homocaust
[SOCIETA’]
“Siamo messi alla prova nei nostri valori umani fondamentali” è la frase che pronuncia uno dei fantasmi dei prigionieri di un campo di concentramento durante le battute conclusive dello spettacolo itinerante di Marco Belocchi (su testi di Primo Levi ed altri) Al di qua del bene e del male, perifrasi ribaltata del noto testo di Nietzsche. Questo è stato solo uno dei momenti in cui, lo scorso 26 gennaio, si è articolato il Giorno della Memoria 2009 al Qube di Roma, “Il giallo e il rosa – Shoah e Homocaust, due genetiche per uno sterminio”.
Per essere messi alla prova su tali universali tematiche, piuttosto che assistere alla tragedia immane che il secolo scorso ci ha dolorosamente consegnato, avremmo volentieri lasciato che mille Nietzsche professassero le loro tesi filosofiche “pericolose”, pur di poterne discutere democraticamente in infiniti dibattiti filosofici su cui non pesasse però il sangue di milioni di vittime. Ma una volta consumato il dramma, è imperativo mantenerne vivo il pur terribile ricordo, insieme all’attenzione ai fenomeni del presente, con lo scopo di sforzarsi di evitare che si ripropongano condizioni sociali in cui i pregiudizi, sempre latenti, possano esplodere.
Dopo le edizioni del 2007 e del 2008, dedicate rispettivamente ad Ebrei e Rom e ad Ebrei e Disabili, quest’anno, come ci ha spiegato l’ideatore e curatore Vittorio Pavoncello, l’evento ha utilizzato la location insolita del noto locale di Via di Portonaccio perchè al giallo, il colore con cui, con una stella cucita sul camice, venivano individuati gli ebrei nei campi di sterminio, si è voluto accompagnare il rosa, il colore con cui erano beffardamente marchiati con analogo infamante simbolo, un triangolo, gli omosessuali caduti nella rete nazista. Questo ha determinato per gli organizzatori qualche difficoltà in più per ottenere ospitalità in sedi più istituzionali, a causa di imbarazzi tuttora difficili da superare.
Ad ogni modo il ricco programma della giornata ha potuto infine snodarsi con tutta la partecipazione auspicata, a partire dalle 10:45 di mattina, fino alle 24:00, partendo con lo spettacolo sopra citato, e proseguendo con dibattiti dall’alto potere informativo e civile, articolati nelle due tranche della mattina e del pomeriggio, su temi quali le politiche discriminatorie nazi-fasciste, ma anche le riflessioni di Magnus Hirschfeld (medico di sinistra, omosessuale ed ebreo, fondatore nel 1897 del Comitato Scientifico-umanitario e nel 1919 dell’Istituto per la sessuologia la cui immensa biblioteca fu data alle fiamme dai nazisti nel 1933) sul rapporto tra genetica e sessualità, ponendo l’accento sull’errore del binarismo forzato Natura/Cultura, Etero/Omo, peso della genetica/influenza dell’ambiente: l’orientamento sessuale, come una forma di espressione, trova per ognuno un compromesso psicobiologico diverso, ribadisce Vittorio Lingiardi, professore di Psicologia alla Sapienza di Roma.
Nell’ambito della mostra Homocaust, che prende il nome dal famoso volume di Massimo Consoli sull’eccidio di massa degli omosessuali nella Germania hitleriana, insieme alle significative opere di Franca Bernardi, Fiorella Corsi, Riccardo Einaudi, Menashè Kadishman, Lughia, Teresa Pollidori, Eliana Prosperi, Chiara Rapaccini, Rosella Restante, Giuseppe Salerno, in cui abbiamo verificato le diverse possibilità di esprimere le contrazioni dell’anima insieme all’irriducibilità del libero pensiero, abbiamo anche notato l’installazione, in chiave di Arte Povera, di Birgitt Shola Starp, che presentava una sorta di albero stilizzato e spoglio, dai cui rami sottili pendevano veli impalpabili lacerati e incrostati, tranne uno, su cui era vergato un testo che metteva a confronto le fragili bellezze della Natura con l’inspiegabile irrazionalità dell’orrore, e che si concludeva con un richiamo allo spirito olistico con cui l’universo chiede di essere percepito dagli esseri umani.
La giornata è proseguita con una performance di Mimo Rorocchi intitolata Pensieri e parole, e con la prima rappresentazione della pièce firmata dallo stesso Vittorio Pavoncello, La scelta di Turing, poi replicata il pomeriggio: una drammatizzazione ottenuta con l’ausilio di mezzi multimediali ed ispirata alla figura del matematico Alan Mathison Turing, il matematico considerato padre dell’avvicinamento tra sistemi artificiali e sistemi umani, e primo a dare fondatezza filo-sofica alla plausibilità dei sistemi artificiali, nonché responsabile in positivo, durante la II Guerra Mondiale, di quella decrittazione del codice bellico nazista (ENIGMA) che permise agli alleati di vincere il conflitto.
Nell’opera teatrale, da uno schermo suddiviso in nove quadranti si affaccia il volto “intoccabile” di un rappresentante di oscuri servizi segreti statali, che risponde alle domande di un clone di Turing recluso in chissà quale laboratorio imponendogli in qualche modo la scelta tra il suo essere macchina artificiale strumento del Potere o essere uomo capace di vivere fino in fondo un dramma risultante dalla sua stessa identità. Ebbene il clone, sentendosi perfettamente Turing, ne ripercorre il destino, sullo sfondo delle visioni psichedelico-digitali acidule trasmesse dallo schermo, lasciandosi imporre infine quel suicidio che è stato l’epilogo della vita dello scienziato, posto al bando dalla comunità scientifica dopo la sua dichiarazione di omosessualità ed infine trovato morto in circostanze misteriose dopo aver ingerito una mela al cianuro. Chissà se il vero Turing è stato ridotto alla follia facendogli credere davvero di essere un calcolatore senziente votato all’obbedienza in lotta contro l’alias di una intelligenza parallela e umana e omosessuale perciò tre volte inaffidabile, fino alla scelta del morso alla mela letale?
Quando fu chiesto alla folla se voleva burro o armi e la risposta fu “armi”, fu chiaro che gli eventi ormai stavano per precipitare, ha raccontato la scrittrice e giornalista Pupa Garribba, dopo aver letto il suo contributo, inserito all’interno della consistente brochure che accompagnava l’evento; ma anche in assenza di un conflitto mondiale gli ebrei continuarono ad essere perseguitati un po’ ovunque, come se continuassero in fondo a portare “cucita sul bavero un’incancellabile stella gialla”. Ed elenca, a parte la Shoà stessa, una serie di drammatici casi verificati con la guerra israelo- palestinese sullo sfondo: dall’eccidio degli atleti della squadra israeliana nel 1972 durante le Olimpiadi di Monaco (portato sullo schermo da Steven Spielberg con Munich) fino all’ultima esecuzione di un gruppo di ebrei in India, datata fine novembre 2008.
Meno pesante in termini di numero delle vittime, ma ugualmente odioso è stato il pregiudizio, la discriminazione e la persecuzione ai danni degli omosessuali. Dalle 13:15 alle 15:00 sono stati proiettati l’ottimo film documentario Paragraf 175, di Rob Epstein e Jeffrey Friedman e Grune Rose di Dario Picciau (prodotto da Visions e dall’Arcigay Firenze), video-omaggio estetizzante e teso a Richard Grüne, artista e testimone degli eccidi nazisti degli omosessuali.
Nella prima di queste opere, sei testimoni della persecuzione contro gli omosessuali vengono intervistati, e tra l’emozione a stento repressa ed il ricordo di un silenzio troppo a lungo mantenuto per non creare disagio o farsi del male, rievocano i loro percorsi. Molti tra gli omosessuali catturati e reclusi durante il Terzo Reich, dovettero restare nelle carceri dei paesi democratici anche a guerra conclusa, per effetto del tristemente noto Paragrafo 175 del Codice penale, anch’esso con una sua lugubre storia, che inizia dalla costituzione di Carlo V del 1532 – prescriveva il rogo per le persone coinvolte in condotta lasciva – e procede per successive modificazioni sempre variamente insoddisfacenti, compresa quella del 1969, avvenuta sull’onda lunga del movimento riformista americano, fino ad essere definitivamente cassato solo nel 1994. Nella Germania nazista “il massimo del ludibrio – afferma Franco Grillini, presidente di GayNet – era considerare gli omosessuali delle donne mancate o dei traditori rispetto alla missione di incrementare demograficamente il Volk, il popolo tedesco con le sue connotazioni di presunta purezza, e di incarnare la figura di dominatore del nucleo familiare”.
Se pure Hirschfeld cercò di dare basi scientifiche alla condizione omosessuale per cercare di far superare ai più il giudizio morale alla base del pregiudizio, il regime invece non mancò di etichettare successivamente gli omosessuali come malati e destinarne molti ad esperimenti terribili basati sull’iniezione di ormoni femminili, per non dire di coloro che furono internati in istituti psichiatrici e sottoposti ad interventi ancor più cruenti. A questo proposito, Luigi Attenasio, Presidente di Psichiatria Democratica Lazio, ha chiarito come l’orientamento omosessuale non determini di per sè alcuna sindrome psicopatologica, ma che è l’oppressione sociale, lo stigma e la colpevolizzazione indotta da visioni religiose intolleranti o leggi discriminanti a procurare a costoro sofferenza anche psicopatologica.
Le performance musicali della sera, ispirate alle tragedie dei campi di concentramento, si concreteranno in diversi set sonori: Enzo De Rosa e Kyung Mi Lee al pianoforte e violoncello hanno fornito la loro interpretazione della composizione “Il giallo e il rosa”; il soprano Monica Benvenuti ha cantato l’opera “Nudo” di Sylvano Bussotti su testo di Aldo Braibanti; Francesco Lotoro e l’Ensemble Musica Judaica hanno proposto la “Musica dell’Uomo di domani”, un’antologia di musiche “concentrazionarie“ scritte dal 1933 al 1945, mentre il violinista Marco Valabrega e il Trio Dreidel con la cantante Ruth Ejzen hanno eseguito brani di repertorio Klezmer.
Il Qube, con la sua identità di luogo deputato al divertimento e alla trasgressione, ha contribuito ad infondere a questa giornata una patina di stilizzazione avanguard e rétro che si riallacciava idealmente alle atmosfere della Berlino degli anni ’30, ai tempi in cui il famigerato Paragrafo 175 non veniva applicato, creando l’illusione di una società aperta.
E’ proprio nella speranza di non continuare a poggiare le fondamenta della società su preconcetti medievali, che vorremmo concludere l’articolo con l’auspicio che ogni forma di discriminazione venga presto non solamente scalfita, ma completamente rimossa, lasciando il posto ad una società matura che sappia tesaurizzare le differenze, rendendole a tutti gli effetti parte della propria cultura.
(Il giallo e il rosa è stata un’iniziativa realizzata con il sostegno della Provincia di Roma, della Comunità Ebraica di Roma e del Segretariato Sociale della Rai, e con il patrocinio del Parlamento Europeo, dell’Ambasciata di Israele, dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania, della Regione Lazio, della Provincia di Roma, nonché dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane e del Centro di Cultura Ebraica).
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