Le splendide illusioni di Assunta Pertuso
È difficile trovare un filo conduttore per descrivere Assunta Pertuso (e le splendide illusioni dell’amore) della Compagnia AbeleCaino con la regia di Mirko Feliziani perché si presenta come uno di quei lunghi sogni pieni di simboli e messaggi criptici che al risveglio stentiamo a decifrare. E del sogno, in effetti, lo spettacolo – in scena al Rialto Sant’Ambrogio di Roma dal 7 al 9 novembre – conserva tutto il fascino surreale ed inquietante, sinistro al punto giusto, che scaturisce dalla cifra stilistica magica ed enigmatica su cui è costruito.
La scenografia, essenziale ed onirica, ci riconduce efficacemente nel candido interno di un carillon – rassicurante eppure sottilmente minaccioso come solo gli antichi carillon sanno essere – dove i due umanoidi fantocci narrano la loro avventura, dalle mani di una strega al carrozzone degli zingari, fino alla discarica che sembra essere il tragico epilogo della loro esistenza.
Il pupazzo in frac ci dice che «La fine di tutto è l’amo…». Ma intendeva l’amore o la morte? O forse tutti e due?
Eros e Thanatos: Assunta Pertuso è una metafora e una similitudine, è la morte della marionetta privata della mano che la comanda – dell’anima spogliata dell’amore che la infiamma – ma anche del personaggio al calare del sipario.
In un caleidoscopio di riferimenti metateatrali i due giocattoli restano imprigionati nella reiterazione di sé stessi alla ricerca di un nuovo, grande numero in grado di risvegliare l’attenzione dello zigano che da molto tempo non apre il coperchio della scatola. Nel farlo, essi affrontano simbolicamente una filosofica disanima delle ragioni dell’amore e dei sentimenti, abbandonando gradualmente la loro veste inorganica per farsi umani a tutti gli effetti.
Attraverso l’impeccabile espressività biomeccanica ed una sapiente contaminazione del dialetto partenopeo con la lingua gitana, la scena si colora di una delicata sfumatura musicale e cantilenante. Tra filastrocche e canzoncine ammalianti, miti popolari e parabole allegoriche la rappresentazione non manca di regalare al pubblico momenti di divertimento legati ad una comicità crudele e grottesca, in debito con la tradizione del burlesque e dell’avanspettacolo.
La favola teatrale – scritta, diretta e splendidamente interpretata da Mirko Feliziani insieme alla bravissima Beatrice Ciampaglia – cattura l’attenzione degli spettatori in maniera ipnotica grazie ad un magnetismo che mantiene fino all’ultimo la sua enigmaticità.
Già finalista al Premio Scenario 2007 e protagonista di importanti festival teatrali nel 2008, lo spettacolo merita sicuramente un’ampia diffusione e noi speriamo che presto il grande pubblico abbia l’opportunità di conoscere questa piccola perla del teatro contemporaneo.
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