Drigo: tra chitarra e ”Rock Notes”
Drigo, al secolo Enrico Salvi, è calmo, disteso. Quando mi avvicino ha appena finito di suonare la chitarra acustica, una voce discreta sulle parole del suo libro Rock notes. Mi sembra soddisfatto, appagato dagli applausi e dal calore del pubblico. Con quel gradevole accento toscano mi racconta le sue sensazioni, le sue emozioni, il suo viaggio nella memoria e l’amore per la musica. Un amore spirituale e intriso di sensibilità artistica, che va molto oltre l’esperienza dei Negrita, che tutti noi conosciamo.
Ciao Drigo, ci puoi raccontare qualcosa su questo progetto? Come è nata l’idea di trasformare il tuo libro in un reading letterario?
È buffo ma l’idea non è esattamente la mia. Dico che è buffo perchè molte cose che sono successe riguardo la mia vita e la mia attività di musicista non sono direttamente iniziative mie, diciamo che io mi appassiono a certe cose e poi provo semplicemente a imparare. Se visito un museo mi viene molta voglia di dipingere, porto sempre con me dei taccuini, quaderni, penne, matite e così via. Se leggo un bel libro mi viene voglia di scrivere e in generale mi piacciono molto le forme espressive di tutti i tipi. Così come è successo per la musica: ho imparato nella mia cameretta la chitarra e le prime volte che mi è capitato di suonare in pubblico, spesso sono stato chiamato da altri amici che mi volevano sentire suonare. Non sono quello che si definisce un leader, non sono l’organizzatore delle cose che mi riguardano, preferisco il ruolo di spalla, forse anche perché non sono il primogenito ma il secondo figlio di una famiglia numerosa, quindi il riferimento a un fratello più grande e allo stesso tempo ad un leader mi dà più tranquillità rispetto all’organizzazione diretta. Così come anche il libro non è nato da una mia idea: io avevo pubblicato sulla rivista Rockstar dei racconti presi dal mio diario, dalla Mondadori lessero questi articoli, mi telefonarono dicendomi che gli era piaciuto molto uno dei racconti che avevano letto e mi chiesero se avevo materiale a sufficienza per pubblicare un libro. Quindi l’idea anche in quel caso non fu mia. L’idea dello spettacolo è invece di un amico che organizza eventi e che è in contatto con Francesco Cotti che è l’attore che legge il mio libro. Mi ha proposto questo progetto e come al solito io ho accettato con curiosità. Sono molto contento perché è come dare una nuova dimensione a quello che ho fatto con il libro, perché volendo la mia esperienza narrativa poteva finire lì invece questo spettacolo che abbiamo creato è un qualcosa di nuovo, anche molto affascinante per noi che lo facciamo. Diciamo che in questo modo gli abbiamo dato nuova vita, poi tutto è improntato sull’improvvisazione, che è una delle caratteristiche di tutto quello che faccio, non un’improvvisazione costruita sul niente ma costruita su delle basi, su uno studio molto dettagliato. Lasciarsi andare davanti al pubblico, anche con il rischio di sbagliare, è la cosa che più mi piace nel mio lavoro.
Nel tuo libro parli spesso di ricerca del suono, del suono perfetto. Sembra una concezione spirituale, più che strettamente musicale. Che cosa rappresenta per te il suono?
Alcune religioni e alcune filosofie di pensiero considerano il ripetere e ripetere la stessa frase, pensiamo ad esempio alla parola Ohm dei monaci tibetani, come veicolo di concentrazione, studio di sé stessi e mezzo per il raggiungimento di uno stato di conoscenza o comunque di approfondimento superiore rispetto a quello che è possibile raggiungere in altre situazioni. Ho notato che rimango molto spesso affascinato anche da una sola nota di uno dei chitarristi che mi piacciono. Sarò pazzo ma mi piace ascoltare una nota anche tante volte, capire che dietro una semplice nota ci può essere tanto studio, molta attenzione, c’è soprattutto una persona che ha avuto una vita, che ha avuto esperienze, che ha fatto delle scelte, e molto spesso quando mi piace un artista vado anche a leggere qualcosa sulla sua vita, mi piace cercare di capire se oltre il discorso dell’espressione artistica, dietro di lui c’è anche la capacità di saper organizzare la vita nel quotidiano. Sono affascinato dai grandi dell’arte ma molto spesso vedo che dietro le loro vite c’è molta solitudine, molta disperazione, troppa dedizione a una cosa e poca ad altri aspetti. Cerco di trovare il mio artista perfetto guardando un po’ ovunque, quindi mi concentro spesso anche solo elemento, su una sola nota.
Questa ricerca del suono come spiritualità è in realtà un elemento che percorre tutto il tuo libro. In molte presentazioni del libro si parla di diario di un artista che arriva al successo, ma io ci trovo molte altre riflessioni piuttosto importanti: in realtà tu vai oltre, parti dalla tua vita per approdare ad altri temi più globali, sociali…
La presentazione sul libro non è la mia, non c’è la mia mano. In realtà in questa descrizione si può trovare la filosofia della casa editrice, che ha cercato in me un artista pubblico, con un bacino d’utenza e con un pubblico e a quel pubblico ha cercato di piazzare questo prodotto. Io ho voluto fare loro il dispetto di non sciacallare sulla bio dei Negrita, non ho voluto fare una biografia dei Negrita ma ho cercato il più possibile di rendere in prosa quelle che sono invece le mie influenze dal punto di vista musicale. Volevo dare al libro una dimensione diversa: non approfondimento per il fan dei Negrita ma piuttosto un approfondimento di quelle che possono essere le esperienze, le sensazioni di una persona che effettivamente vive determinate situazioni. Un po’ per passione, un po’ per lavoro mi trovo a viaggiare in posti impensati e impensabili, soprattutto in uno stato d’animo molto particolare, perché quando sei in tournee emotivamente è tutto molto denso, molto pregno quindi quelli sono momenti in cui è molto facile rimanere impressionati, così come rimane impressionata una pellicola. Certe esperienze vengono vissute in maniera molto intensa per cui, ogni volta che mi trovo di fronte a situazioni che mi sembrano insegnare qualcosa me le appunto. Quindi il libro è nato da questa volontà, sicuramente non dal desiderio di fare un libro per i fan.
Durante la lettura mi ha colpito in modo particolare il punto in cui parli della pena di morte e arrivi quasi ad un dilemma esistenziale: io che ho ascoltato e amato i musicisti americani, alla fine scrivo America con la a minuscola… Il mito americano che per te è importante dal punto di vista musicale e artistico però dall’altra parte è un paese che non stimi per numerosi motivi. Come risovi questa contraddizione?
La mia voleva essere senz’altro una critica. Ogni volta che sento parlare di esecuzioni capitali impazzisco, vado fuori di testa: può sbagliare una persona, un singolo, ma non può sbagliare un Paese, un’istituzione. L’omicidio non è giustificato né giustificabile in alcun caso. Sotto questo punto di vista noi dall’America non abbiamo niente da imparare, dovrebbero essere loro a guardare verso di noi. Quest’aspetto è molto pericoloso, insegna cose sbagliatissime. Però per fortuna in un Paese c’è anche la libertà di pensiero, ci sono anche artisti in grado di pensarla diversamente, gli artisti non sono i responsabili di questa piaga, anzi molti di loro sono assolutamente contro la pena capitale.
Il tuo rapporto con l’arte: ho visto che i tuoi scritti sono intervallati da vari disegni e creazioni raccolti nel corso del tempo e molto spesso parli anche di biografie di artisti famosi, come ad esempio Picasso. Che legame esiste per te tra suono e arte figurativa, suono e immagine?
Strada facendo mi sembra di intuire che si tratta più o meno dello stesso studio, si tratta di allineare il tratto, il segno, la sicurezza, la tranquillità oppure l’angoscia… la tua persona, il tuo spirito, il tuo umore del momento inevitabilmente finiscono in un tratto così come possono incarnarsi in un suono, in una nota. Sotto questo punto di vista lo stesso discorso vale per una fotografia, per il film forse è una cosa diversa e complessa, però tutte le forme artistiche finiscono per interessarmi molto quindi non faccio grandi distinzioni, diciamo che quando mi trovo di fronte a qualcosa di bello non ci sono differenze, per me lo studio di un tratto o di un colore, è la stessa cosa rispetto alla ricerca di un suono.
In questo senso la tua idea assomiglia a quella di Kandinkji…
Sì, infatti molto spesso fra i pittori c’è l’amore per la musica e molti artisti lavorano ascoltando musica…
Continuerai a portare in giro questo spettacolo? C’è qualche altro progetto di questo tipo?
Questo spettacolo è nato così per caso, però ogni volta che lo proponiamo viene portato in scena in situazioni completamente diverse dalle precedenti. È una cosa avvincente, è una cosa stimolante anche per noi, effettivamente è qualcosa di emozionante… è un’emozione diversa rispetto al concerto, in un concerto hai un canovaccio ben preciso, qui c’è molta improvvisazione che è una cosa che non vivo molto sul palco, quindi la voglio approfondire. Certo è vero che la mia priorità è quella musicale quindi è molto difficile riuscire a organizzare bene spettacoli di questo tipo, non posso dare la mia conferma che tra due mesi sarò in quel teatro, perché con i Negrita saremo in tournee, e quindi ci infiliamo quando è possibile, dove è possibile. Non c’è una grande programmazione in questo senso.
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