Il re muore: si salvi chi può!
Il re muore fu scritto nel 1962 da Eugène Ionesco, ma ancora oggi rappresenta un testo attuale che prende per mano lo spettatore accompagnandolo in una sorta di esame di coscienza della sua condizione di uomo e di quel suo aggrapparsi alla vita che spesso, sfocia nel disperato tentativo di sottrarsi ad un evento ineluttabile quale la morte fisica, che sembra appartenere solo agli altri e non a noi stessi in prima persona.
Invece, inevitabilmente e naturalmente, arriva un momento nel quale siamo costretti ad affrontare il nostro destino finale, magari con il sopraggiungere di una malattia, come nel caso del commediografo francese di origine romena. Eugène Ionesco, infatti, scrisse quasi di getto Il re muore dopo aver subito una delicata operazione chirurgica e con l’intento di esorcizzare la morte stessa attraverso «un apprendistato della morte». Questo saggio di teatro dell’assurdo torna in scena presso il Teatro Studio nella traduzione di Edoardo Sanguineti, con la regia di Pietro Cartiglio e con protagonisti principali, Nello Mascia e Alvia Reale.
La trama, in sintesi, vede protagonista il Re Berenger (Nello Mascia), sovrano di un regno ormai distrutto, in cui il sole diventa sempre più freddo e la natura sembra impazzita. Questa decadenza, rappresentata grazie ad una scenografia piena di crepe, ragnatele e spazzatura, coincide con la malattia del re che lo sta portando inesorabilmente alla morte. Anche i re muoiono e non importano il potere, la ricchezza, la regalità: perché tutti siamo soli di fronte alla morte cinica e impaziente. Alla notizia della sua imminente dipartita datagli dal medico di corte (interpretato da un bravo Aldo Ralli) il re cerca di opporsi alla sua sorte in tutti i modi, invocando addirittura il pubblico a donargli la propria vita. Ma il tempo trascorre inesorabilmente, scandito da un angosciante pendolo e il re diventa sempre più debole e vecchio. In scena la reazione alla notizia del re varia da personaggio a personaggio: la regina Marguerite (Alvia Reale) è cinica e fatalista, contrapponendosi alla seconda giovane, bella e speranzosa moglie del re, Marie (Eva Drammis) che fino alla fine confida che la malattia del suo amato Berenger possa esser curata. Con il trascorrere della narrazione il re sprofonda sempre più nella follia, iniziando a parlare anche con i morti e preferendo veder morir tutti pur di sopravvivere. Ma il tempo non può esser fermato e gli altri personaggi che gli vivono accanto, che con lui hanno condiviso ogni cosa, pian piano lo abbandonano, lasciandolo da solo a vivere il suo infausto destino di desolazione: il mondo si restringe, i mari si prosciugano, gli ospedali sprofondano in un precipizio nero, il sole e la pioggia non rispettano più gli ordini del re. L’unico modo per sconfiggere la morte è quello di saperla accettare: Berenger lo farà, cercando però in tutti i modi di preservare la sua memoria ordinando di dare il suo nome a tutte le cose possibili, e cercando così di scongiurare l’oblio che lo attende. La morte, annunciata dalla regina Margherite ad inizio spettacolo con un “morirai alla fine dello spettacolo, tra un’ora e mezza circa” diventa un finale cupo.
Dal punto di vista tecnico la cosa migliore di questo spettacolo sono le scenografie e i costumi di Maurizio Balò, capaci di creare un’affascinante atmosfera neo-gotica: la fine di ogni speranza si riflette infatti nelle scene e nei costumi che sembrano tante ragnatele pronte ad avvolgere ogni cosa, irrimediabilmente. Sotto al proscenio, poi, montagne di immondizia raggiungono quasi gli spettatori, a indicare che davvero tutto è caduco e che la fine dei tempi è ormai giunta, probabilmente con un velato riferimento alla situazione campana e a come i rifiuti, in un certo qual modo, siano metafora di decadenza sotto ogni punto di vista. La musica di Matteo D’Amico, invece, è fin troppo minimalista, quasi inesistente. I dialoghi sono a tratti incalzanti e coinvolgenti, a tratti lenti e farraginosi, tanto da rallentare il ritmo dello spettacolo e strappare anche qualche sbadiglio. Per quanto riguarda gli attori in scena, su di tutti svetta la recitazione asciutta ed efficace di Alvia Reale e quella coinvolgente di Nello Mascia. Più manieristica invece l’interpretazione della giovane Eva Drammis. Completano il cast una simpatica guardia dalla voce baritonale (Sergio Basile), una devota serva (Fiorenza Brogi) ed un folle medico (Aldo Ralli) pronto a guardare lontano con il suo grande cannocchiale con cui però non riesce a scorgere dove il tempo inverte la sua inarrestabile marcia. Da vedere!
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