Ferrari sostiene (bene) Pereira
In un periodo in cui molti volti televisivi si cimentano sui palcoscenici teatrali con risultati discutibili, è un piacere vedere all’opera un professionista come Paolo Ferrari, capace di dimostrare che il mestiere dell’attore non si improvvisa mai. L’occasione per il ritorno in scena di Ferrari è la trasposizione teatrale di “Sostiene Pereira”, romanzo che ha imposto il talento narrativo di Antonio Tabucchi al grande pubblico, conquistando anche prestigiosi riconoscimenti della critica come il Premio Campiello e il Prix Européen “Jean Monnet”, oltre ad esser stato tradotto in 22 lingue.
Già trasposto sul grande schermo a breve distanza dalla pubblicazione – con la magistrale interpretazione di Marcello Mastroianni nel ruolo del protagonista – dopo più dodici anni dalla prima edizione, “Sostiene Pereira” ritorna a vivere sulla scena in una versione teatrale di grande impatto emotivo.
Il protagonista principale è interpretato da un convincete Paolo Ferrari capace di rendere in modo equilibrato le sfumature interiori e la carica emotiva di un tranquillo e ignaro giornalista, Pereira appunto, nome che in portoghese significa ‘albero di pere’: un cognome ebraico, quindi, come tutti quelli relativi agli alberi da frutto e omaggio, per espressa ammissione dell’autore, alle sofferenze del popolo eletto.
La storia, in breve, narra un momento della vita di Pereira in cui, dopo avere lasciato la cronaca nera, diventa direttore responsabile della pagina culturale di un quotidiano, il ‘Lisboa’, che l’anziano giornalista definisce, all’inizio della narrazione, “indipendente dal potere”; ma siamo nel Portogallo del 1938 e le cose sono un po’ diverse da come Pereira le immagina. Inizierà a rendersi conto delle ingiustizie e delle nefandezze perpetrate nel suo Paese solo quando assumerà come collaboratore un giovane rivoluzionario, Monteiro Rossi, col ‘gioioso’ compito di scrivere necrologi di personaggi celebri ancora in vita; i suoi lavori però risultano scomodi e quindi impubblicabili (divertenti, a tal proposito, gli accorti consigli di Pereira che ad esempio suggerisce a Monteiro di parlare solo dell’opera di Garcia Lorca e non delle reali ragioni che lo hanno condotto alla morte). Nonostante le divergenze, però, Pereira continua a pagare gli articoli del giovane collaboratore, diventando, durante il suo periodo di latitanza, un specie di “quinta colonna” della sua fuga. Questo comportamento lo porterà prima ad entrare in contrasto col suo direttore (interpretato in modo perfetto e caricaturale da Gianluigi Pizzetti), che si rivelerà esser meno indipendente dalla politica di quanto Pereira pensasse, poi con i “mastini” del regime e infine con se stesso e il suo stile di vita remissivo.
A partire dal II atto, gli eventi iniziano a scorrere in modo rapido e appassionante, sfociando nei fatti che porteranno il giornalista ad aprire gli occhi. L’incontro con un coraggioso medico-filosofo, Cardoso e la morte di Monteiro ad opera della polizia segreta del regime salazariano che irrompe in casa Pereira, dove Monteiro si era recato in cerca di asilo: è in quel momento che il giornalista sente che è giunto il momento di far udire la propria voce e di uscire allo scoperto. Così si mette all’opera e riesce a far pubblicare sul suo giornale, gabbando abilmente il riottoso tipografo, un articolo di denuncia dell’omicidio e del regime, che Paolo Ferrari legge con tutta la forza e la determinazione di cui il nuovo Pereira, finalmente libero di ascoltare il proprio io, sa di possedere e che gli darà anche la forza di abbandonare il suo amato Paese. L’intera narrazione è accompagnata dalle parole «Sostiene Pereira», scandite in chiaro accento portoghese dal narratore a lato della scena e che alla fine della rappresentazione si rivela essere un giornalista a cui Pereira ha raccontato i fatti di quei tragici giorni.
L’intensa e commovente interpretazione di Paolo Ferrari che, oltre alla recitazione perfettamente cucita sul personaggio, gestisce con grande abilità l’aspetto gestuale, i ritmi e il timbro della voce, regalandoci un Pereira metafora dell’uomo qualunque, timido e indifeso di fronte alle ingiustizie dei potenti è davvero eccellente. Ottimi anche alcuni comprimari. Particolare e suggestivo, inoltre, l’allestimento del palcoscenico ad opera di Alessandro Chiti che divide in due la scena, regalando al pubblico la sensazione della terza dimensione grazie a pareti trasparenti. Funzionali le musiche di Adriano Maria Vitali che ben si legano alle vicende narrate. Perfetta, infine, la regia di Teresa Pedroni, rispettosa del testo originario di cui coglie la profonda carica umana, civile e politica.
Due ore spese bene dunque e che inducono la riflessione puntando il dito contro l’immobilismo e l’acquiescenza di un certo giornalismo da salotto che, invece di essere cane da guardia del potere, funge da docile cane da compagnia per ignavia dei giornalisti e convenienza degli editori.
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