Judas Iscariot Superstar
Jesus Christ Superstar è probabilmente una delle più famose opere rock mai realizzate. Le sue musiche furono composte da Andrew Lloyd Webber (noto anche per Cats, Evita e The Panthom of the Opera) su testi di Tim Rice. Pubblicata come doppio LP nel 1970, fu rappresentata per la prima volta a Broadway il 12 ottobre 1971, dove rimase in scena per ben 18 mesi.
Ma il successo arrivò anche in Europa, visto che nel 1972, al suo debutto nel West End londinese, l’opera fu accolta trionfalmente, rimanendo in scena per otto anni e diventando cosìil musical più a lungo rappresentato in modo continuo a Londra.
L’opera racconta l’ultima settimana di vita di Gesù, dall’ingresso a Gerusalemme alla crocifissione, passando per l’ultima cena, il tradimento di Giuda, il processo e la condanna a morte. L’idea alla base della rappresentazione è quella di narrare gli ultimi giorni di Gesù dal punto di vista di Giuda Iscariota rappresentando il conflitto umano ed ideologico tra i due personaggi. In realtà Jesus Christ Superstar è molto di più e le polemiche che accompagnarono questo musical lo dimostrano: il pomo della discordia è sempre stata l’impostazione non convenzionale con cui vengono sviluppati i personaggi e la storia. I punti più controversi riguardarono il fatto che la divinità di Gesù non venisse data per scontata, ma posta in dubbio dalle parole di Giuda; inoltre Maria Maddalena è rappresentata come palesemente innamorata di Gesù e infine lo stesso Gesù appare pieno di dubbi e timori fin troppo umani.
Questo il background del musical portato in scena dalla compagnia toscana Rockopera al Teatro Nuovo di Milano a distanza di 10 anni dalla precedente tourne che ha portato questa compagnia a replicare per 30 volte il fortunato musical. Ammetto che l’idea che una compagnia italiana si cimentasse in lingua inglese con Jesus Christ Superstar mi ha lasciato fin dall’inizio perplesso: temevo fortemente in canzoni declinate in un inglese in salsa italiana, con le relative cadenze che caratterizzano il nostro idioma nazionale e invece da questo punto di vista mi son dovuto ricredere. Fin dalla prima canzone, “Heaven on their minds”, infatti l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte ad una compagnia anglofona e non italiana. In scena compaiono fin da subito i due protagonisti principali ossia Giuda (interpretato da uno scatenato Terry Horn) e Gesù (uno Stefano Pardini apparso un po’ sottotono rispetto agli altri membri del cast), con l’Iscariota che cerca di mettere in guardia il Maestro dall’eccessivo clamore che si sta creando intorno alla sua figura. Dopo questa suggestiva introduzione, Giuda lascia la scena agli Apostoli e a Maria Maddalena (interpretata da Mara Ariani Mazzei, che cura anche la regia del musical) che cercano di capire cosa sta accadendo a Gerusalemme. La narrazione inizia così ad entrare nel vivo, fino all’inevitabile conclusione. Sullo sfondo si intravede l’orchestra, composta da 8 elementi musicalmente validi, che suona dal vivo la colonna sonora del musical.
Queste le indubbie luci dello spettacolo. Purtroppo son da segnalare anche ombre, soprattutto di tipo tecnico. Innanzitutto partirei dai sovratitoli in italiano. Per carità, lodevole iniziativa quella di proiettare la traduzione delle canzoni che andavano in scena visto che di solito non è facile comprender tutto dei testi delle canzoni; peccato solo che il risultato finale sia stato catastrofico: testo poco o per nulla visibile a causa delle luci, errori di sincronizzazione, scomparsa improvvisa della traduzione insomma dopo mezz’oretta molti in sala hanno iniziato a concentrarsi sulle canzoni e hanno rinunciato all’ausilio dei sovratitoli.
Altro aspetto tecnico che mi ha convinto poco è stata la scelta di ridurre all’osso la scenografia, anzi al lenzuolo, visto che in scena l’elemento fondamentale era una sorta di lenzuolo che separava l’orchestra dal palcoscenico dove si svolgeva l’azione: insomma per un musical così famoso mi sarei aspettato qualcosa di più.
Per quanto riguarda il cast Giuda appare una spanna sopra gli altri, soprattutto rispetto a chi dà il titolo al musical, Gesù: questo a mio avviso è dovuto in parte all’estensione vocale che caratterizza il bravo Terry Horn, in parte al ruolo tragico che Giuda ha nell’opera di Webber e Rice. In Jesus Christ Superstar infatti viene sposata la teoria secondo cui Giuda non fu un vero e proprio traditore, ma agì nella convinzione che il suo Maestro andava fermato e che lo stesso Gesù desiderava esserlo, come evidenziato nella canzone “Damned for all time” dove l’Iscariota al cospetto di Caiphas e Annas (interpretati dai bravi Federico Piras e Fabrizio Checcacci) canta: “I came because I had to; I’m the one who saw. Jesus can’t control it like he did before. And furthermore I know that Jesus thinks so too”. Non a caso Giuda inizialmente rifiuta i trenta denari che i Sacerdoti vogliono dargli per il suo tradimento, definendoli soldi insanguinati.
In soldoni, ancora una volta i personaggi cattivi o presunti tali risultano più affascinanti e sfaccettati dei buoni: non è la prima volta che accade. E non sarà l’ultima.
di Christian Auricchio
Foto Andrea Ruberti e Andrea Barsanti