Intervista a Franco Losvizzero
In occasione di Clio Art Fair 2015 a New York, abbiamo intervistato uno dei pochi artisti italiani invitati, Franco Losvizzero, poliedrico e sempre alla ricerca di nuove forme espressive.
Hai appena partecipato a Clio Art Fair 2015 a New York. Come è avvenuta? Come è stata?
Circa un mese fa, appena arrivato a NY, ero ad un incontro con un importante Art-Dealer per l’organizzazione di una mia mostra personale. Mancava un curatore, così abbiamo pensato ad Alessandro Berni che è l’ideatore e il curatore del Clio Art Fair. Siamo andati nel suo ufficio e dopo una breve presentazione di entrambi siamo passati alle proposte: noi gli abbiamo chiesto di curare il Solo-Show di Franco Losvizzero a NY e lui non solo ha accettato ma ha rilanciato proponendomi di essere inserito nei 7 invitati ufficiali nella fiera da lui organizzata. Il giorno dopo sarebbe partito il comunicato stampa perciò ho accettato seduta stante e da lì è iniziata questa avventura. La mostra personale è ancora in sviluppo, la fiera invece si è appena conclusa. Tutto è andato molto velocemente, nel New Jersey ho trovato lo spazio e le attrezzature per creare i nuovi lavori e con un full immersion in cui ho passato diverse notti in bianco sono riuscito a terminare le nuove opere, poi la fiera, il trasporto, gli incontri tanti e magnifici, un flusso continuo di persone e poi lo stare a Chelsea sulla High Line… Veramente una grande e intensa esperienza!
Il sottotitolo di Clio Art Fair è “The Anti-Fair for Indipendent Artist”. Cosa hai trovato lì e cosa è per te indie?
Clio Art Fair è una fiera che affianca la più nota Armory Show dove tutto è più stabilizzato. Clio in questo è davvero indipendente perché sono gli artisti ad auto rappresentarsi, senza troppi intermediari. Se l’opera ha qualcosa da dire lo dirà lo stesso, con o senza una galleria che ti presenta. In questo la Clio Art Fair è un ibrido che funziona tra fiera e mostra collettiva, tra mercato ed esposizione fine a se stessa. Cosa ho trovato lì: la capacità di rischiare, di scommettere sul nuovo, la velocità decisionale di un italiano che è rapido nelle scelte e non ha paura di prendersi determinati rischi… cose poi per me determinanti nella mia visione dell’arte: libertà, rischi, freschezza… e forza espressiva.
Tu sei soprattutto un artista performativo, oltre che visivo. Ti ricordiamo con “Il Coniglio Bianco”. Come scegli la tua espressione artistica? Ci parli dell’opera che hai portato a New York?
E’ vero che molti mi conoscono per la performance del Coniglio Bianco, poi per le sculture meccaniche, infine per le sculture in vetro e da ultimo per il disegno e la pittura, anche se la pittura è il mio primo amore ed è la ricerca che mi accompagna giornalmente dai tempi dell’Accademia di Belle Arti, sezione “pittura” appunto. Il coniglio bianco mi ispira…l’animale in sé è magnifico! Così candido e puro, morbido al tatto e così mansueto…ma allo stesso tempo l’animale più sex-addicted che conosciamo e con quegl’occhietti rossi così inquietanti… Quando inquietudine e purezza si incontrano in un mio lavoro, una carezza e uno schiaffo…quando l’infanzia e le mie aberrazioni si incontrano-scontrano su un mio lavoro, considero l’opera riuscita. Le mie performance sono anche rituali veri e propri; il bianconiglio è un conduttore nell’inconscio, nel paese delle meraviglie, nel paese dei Balocchi dove ti crescono le orecchie di somaro ma ci sono anche performance dove non indosso nessuna maschera e sono io il protagonista: è il caso della performance al MAAM con titolo “Residenza In Comunione”, durata undici giorni e undici notti chiuso dentro il museo-residenza condivisa e la performance “Il Matrimonio Di Franco Losvizzero” alla Centrale Montemartini-Musei Capitolini dove mi sono sposato con una statua, dove ho preso i voti, dove ho giurato, davanti a testimoni, fedeltà all’arte, alla bellezza, a Polimnia musa della poesia Sacra e Lirica di cui la statua è rappresentazione. La mia espressione artistica non ha limiti… se posso usare una matita, una danzatrice, un materiale plastico, il vetro, la pellicola, il digitale, attori, per raccontare una mia idea…beh vado fino infondo. Non sento che è un mezzo solo che mi rappresenta, avendo studiato fotografia, pittura, scultura, cinema, scrittura e recitazione cerco di mettere a nudo la poetica prima delle tecnica; tecnica che deve essere di supporto, mai predominante.
..E dico che vado fino in fondo perché se non porto a termine un lavoro, un’idea… quella mi perseguita, e finchè non la realizzo non ne avrò in dono un’altra! Perciò meglio non rimandare… utilizzando sempre ogni mezzo con la maggiore preparazione possibile o avvalendomi dei migliori esperti in ogni campo; questo è quello che ho fatto con i maestri Muranesi che hanno realizzato alcuni miei lavori o con uno studio di modellistica di Milano che si chiama Wahh Works, con cui ho lavorato alle sculture, più grandi e impegnative.
L’opera grande che ho portato in mostra qui a NY si chiama Vitae-Il Grande Sonno ed è una scultura meccanico-sonora-interattiva. Un giocattolo che ha a che fare con le ossa, con la morte, con il ciclo della vita… Ci sono 3 teste: un teschio di mucca, una testa che esce dalle viscere-inconscio e il calco della faccia di un anziano con orecchie da coniglio. Chi sale però, perché la scultura è cavalcabile, è un bambino. Il bambino che è dentro di noi o bambini veri che si interfacciano per la prima volta con il mondo dell’arte contemporanea. Inserendo 50 cents inizia una galoppata con questa sorta di macchina del tempo che ci porta a vivere o a rivivere un momento infantile, una memoria nascosta che ci portiamo dentro e mentre la viviamo e ci facciamo dondolare dalla scultura troviamo cosa ci è rimasto incollato dentro e cosa dobbiamo espellere. L’inconscio, la memoria del nostro corpo, trattiene tutto… e rituali, sogni, paure e frustrazioni tornano a galla (almeno nel mio caso) mescolandosi con la realtà a dando vita alle mie visioni-opere-esperienziali.
Ho presentato per questa fiera anche un quadro su cui puoi giocare…Un dipinto a olio su cui puoi lanciare una palla e giocare a biliardino, poi quella pallina la puoi magiare perché è gomma da masticare. Quest’opera si chiama Flipper-painting. Mecha-Nick invece è il nome dell’altra scultura meccanico-sonora-interattiva. Quando gli passi davanti si agita come un cane alla catena; infatti l’ho dovuto legare sennò sarebbe caduto dal piedistallo dove lo avevo istallato. Completano l’installazione della scultura grande, il Fipper-Painting e Mecha-Nick, 10 quadri derivanti dall’ultima mostra che ho fatto a New York nel 2010 dal titolo Anima’ LS.
Quale artista oltreoceano hai apprezzato maggiormente e perchè?
Bruce Nauman è il primo che giunto a Londra con l’Erasmus mi ha fatto ribaltare gli orizzonti accademici. E’ uno degli artisti più forti e innovativi, dotato di grande rigore e grandissima originalità. Ma anche Paul McCarthy, e Hermann Nitsch (che ho avuto l’onore di conoscere) mi hanno molto toccato sin dall’inizio (anche se non sono oltre oceano…).
Cosa trova/cerca un artista italiano all’estero?
Cerca stimolo, cerca nuove contaminazioni, cerca il mercato, cerca un nuovo collezionismo, un sistema dell’arte che in Italia manca… o meglio latita da troppo tempo; cerca se stesso, nuova ispirazione… ma soprattutto energia per fare… New York è come una batteria sempre carica, ti da una scossa per ripartire. L’ abrivio mi dura diversi mesi una volta tornato in Italia anche se sto progettando di trasferirmi fisso da settembre.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Una mostra a Roma a San Lorenzo che si chiamerà Clock-Work un’altra a NY personale e a Milano con tre progetti distinti legati all’Expò. Tutto prontamente riportato sulla mia pagina Face-Book con aggiornamenti quasi giornalieri e sul mio sito: www.francolosvizzero.net
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O.R.