Emozioni in Cavea: Pat Metheny Unity Band
ROMA- Di Grammy Awards ne ha vinti ben 19, con il suo gruppo ha vinto, unico nella storia del premio, 7 Grammy per 7 album consecutivi. Continuando con i record, è stato il più giovane docente del Berklee College of Music a soli 19 anni, ha creato dalla sua immaginazione strumenti geniali e originali, pioniere nell’uso dell’elettronica e dei sintetizzatori nel jazz, vincitori di una miriade di sondaggi come miglior musicista nel mondo.
Ma i numeri per identificare questo grandioso musicista non basterebbero e sarebbero tediosi, ma soprattutto non parlerebbero di tutto un complesso emozionale e artistico che la sua genialità regala ad ogni live. In ogni caso di motivi per andare ad un suo concerto ce ne sono anche troppi, ma quello dello scorso 14 Luglio a Roma, è particolarmente interessante. Può sembrare il solito concerto promozionale di un disco appena uscito. Effettivamente l’album è stato dato alle stampe non meno di un mese fa. Ma c’è una cosa che incuriosisce i suoi fan, dopo 22 anni l’artista in questione si ripresenta al grande pubblico con un quartetto con un sassofono protagonista. Il genio Pat Metheny, il più famoso e acclamato chitarrista al mondo, ha presentato all’Auditorium Parco della Musica nell’ambito dell’ormai consueto e prestigioso Festival Luglio Suona Bene, la sua nuova formazione la Unity Band. Ci sono voluti 22 anni per rivedere un sassofonista nel suo gruppo. Certo gli ultimi non sono stati nomi facilmente rimpiazzabili. Michael Brecker e Dewey Redman, i suoi ultimi compagni nell’album 80/81, scomparsi prematuramente entrambi, avevano quel suono che si sposava in modo perfetto con la sua idea di musica. Un jazz-fusion aperto alle più svariate influenze, che ha sempre attinto dalla musica sudamericana. Deve essere onorato dunque Chris Potter, ad essere il “sostituto” di cotanti predecessori. Metheny dice di Potter che è uno dei più grandi musicisti del momento, ne apprezza la versatilità, la finezza tecnica, e ha subito capito che insieme suonavano e dialogavano in un modo talmente naturale che lo ha spinto a creare questo progetto insieme a lui. Progetto al quale non poteva mancare alla batteria il suo fidato amico di sempre Antonio Sanchez. A completare il quadro un contrabbassista giovane e talentuoso Ben Williams.
La formazione così composta è stata la band che ha intrattenuto per due ore la Cavea dell’Auditorium, anche se a salire sul palco per il primo pezzo è stato il solo Metheny. Con una delle sue invenzioni, la chitarra a 42 corde Pikasso, la leggenda della musica ha aperto il concerto romano con un brano in cui, forte della sua invenzione, ha simulato basso, arpa e chitarra acustica. “Come and See” , dall’ultimo album, apre le porte anche ai suoi compagni e incomincia a presentare la loro ultima preziosa perla discografica a cui seguono “Roofdogs” un pezzo vorticoso arricchito dall’assolo bop del soprano di Potter e “New Year”, fino ad arrivare alla dolce e romantica ballad “This belong to you” . E poi ancora continuando a presentare il disco ritroviamo “Leaving Town” e “Interval Waltz” che portano alla presentazione di una delle ultime diavolerie inventate dal leader. “Orchestrion” nascosto dietro le tende sul fondo del palco è un insieme di strumenti dei più vari, tra cui fisarmonica, bottiglie e xilofono, che viene suonato attraverso la sua chitarra elettrica. Un momento in cui il chitarrista regala al pubblico tutta la sua originalità, la sua inventiva e il suo eclettismo, senza essere troppo auto celebrativo. Il viaggio della Unity Band continua con una serie di duetti in cui la costante rimane naturalmente il leader. Chitarra e sax, chitarra e contrabbasso, chitarra e batteria per poi finire di nuovo tutti insieme con il brano “Breakdealer”. Parlare delle capacità tecniche e artistiche di Metheny è quantomeno inutile, per questo mi fermerò soltanto ad elogiare gli altri componenti del gruppo. Su tutti il suo immancabile Sanchez, una specie di mostro alla batteria. Il suo suono è potente, pulito e sempre presente, la sua anima latina è più che evidente, in lui il suono di percussioni e batteria si fondono creando un tappeto ritmico corposo e perfetto.
Il pubblico in delirio non poteva che richiamarli alla fine del concerto ed è così che Pat Metheny, l’omaggia con un grande splendido classico del suo repertorio “Are you going with me”. Per il secondo bis, invece, si dona da solo al pubblico che in un innaturale silenzio ascolta con devozione la leggenda. Le sue corde fanno vibrare tutta l’aria intorno, l’atmosfera è irreale e quando finisce ci si ritrova quasi intorpiditi ma con uno strano sorriso sul volto. Alla prossima grande Pat!
Valeria Loprieno
Foto di Federico Ugolini
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