Atget e Paris
[ARTI VISIVE]
PARIGI- Al museo Carnevalet di Parigi fino al 29 luglio è visitabile la mostra su Eugène Atget, foto scattate tra il 1857 e il 1927 e documentanti la città che, già allora, stava scomparendo. Stradine strette, terra battuta, ruderi, pochi esseri umani (la città è come un alloggio in attesa di un inquilino).
Atget tralasciava le grandi vedute e i monumenti caratteristici. Quando vediamo i monumenti è perché, spesso, come nel caso di Notre Dame o del Sacre Coeur, spuntano da dietro i palazzi. Oppure, fanno da sfondo a carretti e straccivendoli.
La mostra inizia a presentare i rigattieri, i chiffonniers, in immagini scattate al limitare di Parigi tra il 1910 e il 1913, le fortificazioni e i vari negozi del quinto.
Una vasta serie di fotografie ci raffigura il quartiere di Denfert-rochereau quando era bello ed elegante, un’altra centra l’attenzione sulle sculture delle Tuileries, che diventano quasi creature vive.
Atget fotografava corti, per lo più del sesto, piccole persone sugli usci, gabbie vuote, facce o corpi che macabri appaiono alle finestre (si veda “Rue du maure” o “Cour, ancien hotel d’adjacet”); i tetti, quelli di Saint Severin o della corte de Rohan, e capolavori come “Carrefour” del 1924, la fotografia in cui si vede un palazzo che sembra quasi sbriciolarsi in rues de Seine er de l’Echaudé”. In ogni opera, Atget ci propone giochi di linee come in “Carrefour” del 1923 su rues de Arras et Clopin e un grande senso di profondità, come in “Impasse Barbette” del 1899 o in “Pavis de l’Eglise Saint Etienne du Mont” del 1903 o in “Rue Hautefeuille” del 1898. Atget sapeva lavorare con i volumi, li distribuiva in modo armonioso e sapeva conferire pesantezza alle immagini, come si vede in “Place Saint André des Arts” del 1903 o in “Affichages Derriere l’Eglise Saint Severin” del 1899.
Non manca un vasto uso delle linee trasversali come si vede con chiarezza in “Cour” del 1922, che rappresenta rue de Valence, con i suoi volumi lanciati verso l’alto e linee convergenti al centro dell’immagine.
Molto interesse esercitavano su Atget le scale e i corrimano e le porte, in particolare le loro decorazioni più impressionanti: serpenti, meduse, volti impressionanti non mancano nella mostra a Carnavalet (si veda “Fontaine” di rue Garanciere del 1900 o “Tete Sculptee” del 1911).
La parte finale della mostra è differente: si possono vedere le fotografie di interni e di nudo (collezione Man Ray) e gli scatti del contemporaneo Emmanuel Pottier, che faceva fotografie molto simili a quelle di Atget, ma in modo romantico, meno surreale.
Atget era un autodidatta del banco ottico, affezionato al suo vecchio apparecchio a soffietto e ad una tecnologia ormai superata. Ex mozzo della marina mercantile francese, poi diventato pittore ed attore di teatro a Parigi e fotografo. Si definiva un documentarista delle vie di Parigi, della sua architettura e del suo paesaggio punteggiato di personaggi simbolici della cultura popolare francese a cavallo tra l’800 e il 1900. Il suo scopo era creare un archivio di immagini che potesse servire agli artisti, alle istituzioni o ai privati, senza alcuna ambizione creativa e senza particolari conoscenze tecniche.
Nella mostra è possibile vedere anche “L’eclisse. Parigi 1212”, l’opera più famosa di Atget, che ritrae una folla di parigini, occhi rivolti al cielo, mani davanti agli occhi a schermare la luce accecante del sole, ipnotizzati dallo spettacolo unico dell’eclisse solare del 1912. L’opera fu selezionata da Man Ray come copertina de “La Rivoluzione Surrealista. Atget per tutta risposta disse: «N’y mettez pas mon nom. Se ne sont que des documents que je fais!» (Non metteteci il mio nome. Sono solo documenti quelli che faccio). Le fotografie sono – ed è questa imperfezione il loro fascino – sfocate, troppo contrastate, incorniciate dalla vignettatura nera ed asimmetrica dovuta all’utilizzo di una vecchia fotocamera a soffietto.
Il Carnevalet dispone della più vasta collezione di opere di Atget, che ha acquistato proprio a inizio ‘900. Per questo è possibile vedere una panoramica a tratti inedita del meticoloso lavoro di documentazione del fotografo francese. Atget affascina per il vuoto e il silenzio surreali e commuoventi che trasudano dalle sue pellicole.
La sua è una narrazione per immagini della città.
Poveracci in posa, un po’ sfumati, passatempi semplici, tanto lavoro, pochi soldi, case coperte di manifesti pubblicitari abbandonate nel nulla (“Place Saint André des Arts”), cabaret, ossari, vecchi pozzi, canali e fiumi su cui si sofferma la nebbia, richiami spesso accidentali alla vita quotidiana abbandonati distrattamente in qualche angolo.
Le persone sono tutte povere, intente al lavoro: i paveurs (operai che ricoprivano le strade sterrate di ciottoli, o pavé), il venditore di abat-jour, le prostitute della Villette sedute davanti alla porta dei bordelli, un anziano suonatore d’organetto, dalla folta barba grigia, i baffi arricciati e lo sguardo reso impenetrabile dall’ombra del cappello calcato sulle orecchie accanto a una ragazzina dal sorriso fiero che canta.
Parigi è diversa e uguale a quella di oggi. Sporca, disordinata, a volte desolatamente vuota. Con spazi enormi o viette minuscole.
Silvia Tozzi
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