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Ho dipinto il muro della vergogna

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[TRIP: NOTE DI VIAGGIO]

viaggiQualche giorno fa ricorreva  il XXII anniversario della caduta del Muro di Berlino. Su quella colata di cemento che divideva cittadini, parenti e amici, in tanti hanno voluto lasciare la loro testimonianza contro il simbolo dell’ingiustizia e della cecità della ragion di stato.

La forza di quel simbolo ha fatto sì che, dopo le picconate che lo hanno distrutto, la parte di muro con alcuni dei graffiti più belli e significativi sia diventata oggi la East Side Gallery, una galleria di opere all’aperto che testimonieranno per sempre la ferita che tutto questo ha rappresentato. Uno di questi “quadri” riporta un testo molto lungo, di un artista italiano, che inizia con queste parole: Ho dipinto il muro della vergogna…
Cambiano i tempi e le geografie, ma la ragion di Stato costruisce altri muri, ideologici molti casi, ma di cemento armato vero e proprio in altri. E così anche la Palestina oggi ha il suo muro che divide i territori sotto controllo murales palestinaisraeliano prendendo il nome, forse, più accettabile di barriera di sicurezza contro il terrorismo. Ad ogni modo, è automatico: un muro richiama irresistibilmente bombolette spray, vernici colorate, stencil e quant’altro. Gli artisti metropolitani non sopportano l’affronto del grigio intonso, impersonale, indecente come mai in questi casi. Accanto alle scritte dei ragazzi che vivono all’ombra di quelle lastre di cemento, negli anni sono spuntate figure di ogni tipo che lanciano messaggi di libertà, definitivamente schierati non contro un popolo ma a favore della giustizia.
La Street Art in Palestina assume toni fortemente etici, che già possiede anche in Occidente, ma che qui si esaltano ancora di più pensando che per tante religioni questo è la terra sacra. Naturalmente, l’alleato della carica etica è l’ironia che sfida la lugubre visione che ha innalzato la barriera.

Banksy, uno dei più noti street artist in circolazione, ha effettuato diverse incursioni qui, partecipando anche al raduno Santa’s Ghetto del 2007. Le sue sono opere tenere, buffe, ironiche e irriverenti, ma anche intense e rabbiose: la giovane ragazza vestita di rosa che perquisisce un soldato o la colomba bianca sotto il tiro del cecchino, che vola con un ramoscello di ulivo in bocca e indossa un giubbotto antiproiettile, o i cuori romantici che escono dalla mano di un angelo.
Più cattivello il suo conterraneo Paul Insect, noto per distruggere l’innocenza di certi simboli come nel suo Babbo banksy westbank9Natale intrappolato in un carro armato o il bambolotto incastrato nel muro.
Ci sono anche gli Italiani sul muro, come Blu e Erica il cane. Il primo è intervenuto nei pressi di Betlemme sopra una torretta di avvistamento dei militari. La violenza del luogo viene annullata dalla scena dolcissima di un ragazzo che ingenuamente crea una crepa enorme nella parete con un solo dito. Suo è anche l’unico pino che si salva dalla deforestazione grazie ad un recinto.  La passione della seconda invece sono gli animali, qui in particolare gli asini come i due che, rivolti ognuno in una direzione opposta all’altro, portano in groppa le due città che si allontanano con loro, oppure come la formica gigantesca che afferra i blocchi del muro. Impressionante è in fine il murales di un artista palestinese, Suleiman Mansour, che a Ramallah ha riprodotto l’affresco michelangiolesco della Creazione di Adamo.
I nomi sarebbero ancora di più, soprattutto per quanto riguarda la gente comune, solitamente ragazzi, che armati di vernice scrivono o disegnano la loro disperazione.
Quando anche questo muro sarà abbattuto, forse si provvederà anche qui a realizzare un museo della testimonianza della sua esistenza. Finchè il muro della vergogna non si alzerà di nuovo da qualche altra parte.

Francesca Paolini

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