MUSICA EMERGENTE_ Un negozio di caramelle
Basta aprire il cordone bordeaux che limita l’entrata all’Alpheus e come un orologio svizzero parte tutto il meccanismo artistico che regola i frenetici minuti delle finali nazionali MArteLive 2011. Puntuali si accendono gli amplificatori della sala dedicata alla musica emergente che per due serate ha ospitato finalisti, musicisti, groupie, fan e semplici curiosi che si trovano ad esplorare le sezioni del più variegato festival multiartistico della Capitale.
I primi a mettere mano agli strumenti il 12 ottobre sono i calabresi Rewanax con un pop rock filtrato dalle impennate vocali di un frontman che ci ricorda Giuliano Sangiorgi e Pelù, che si dimena elegantemente sul palco, e che è circondato da sferzanti strutture musicali e dalla raffinatezza di un impetuoso pianoforte a cui è lasciato il compito di chiudere, quando Mariano Manafò esce di scena, il palco è lasciato per gli ultimi minuti solo alla musica. Ha lei le parole giuste per concludere.
Si cambia tono e si cambia regione: arriva il Molise dei La Suonata Balorda. Una spolverata di coriandoli, un paio di occhiali rossi e un’aria folk blues spensierata sono le premesse della canzone d’autore che si trascina dietro questa band e che porta naturale a tutti rilassarsi, “Magari Fumando”, come Antonio Mastrogiorgio quando si accende flemmatico, a mò di sigaretta, un fuoco d’artificio. Toni più seri e cupi, poi entrano in campo kazoo, fisarmonica e strumenti di legno dimostrando le sfaccettature “alticce” di questa performance che si chiude con il frontman comodamente seduto sulla grancassa a schitarrare quel rock and blues che ci porta inevitabilmente a Rino.
Si torna in casa con i romani Runa Raido. Li ritroviamo ben più carichi e scatenati dell’ultima volta che li abbiamo incontrato in semifinale. Un urlo e comincia l’esplosione di vita che contagia senza scampo l’altro lato del palco. Marco Vallecoccia salta sulla grancassa di una batteria già infuocata di suo, si scatena nel panico di una musica che riesce a riprodurre nelle forme di un sofisticato garage rock l’animo nobile del cantautorato italiano. Approfittano anche per presentare una brano nuovo, “un modo come un altro – dicono – per mandare a fanculo qualcuno”. Ma suonare serve soprattutto a questo.
Fluida, trascinante e passionale è la performance degli altri capitolini in gara, gli Artefici. Schiaffi alle chitarre, batteria fumante e a dosare il tutto tra sbalzi di toni e di personalità è l’esuberante temperatura della voce di Alessio Facca. Concludono con un esaltante finale strumentale per lasciare il palco al continuum di sonorità forti degli abruzzesi Il Colloquio con il Verme. La concentrazione è densa sul loro palco, grunge e ambient si fondono in un nirvana ipnotico di corde elettriche che tirano, vibrano e che parlano da sole per un rock ossessivo alla White Stripes. Luigi Pasquini (e il suo basso) conclude da terra e, come per mettere un punto a capo, stacca lo spinotto e scende dal palco. E sì, è finita anche la loro performance.
Tocca agli ultimi tre gruppi in gara, e quindi ai lucani Damash, stimolati dal calore vocale di Rocco Fiore, uno strabiliante mix tra Chad Kroeger e Billie Joe Armstrong, tra ruvidezza e dolcezza. Musica che si muove tra grunge e rock, tra energici faccia a faccia tra chitarra a batteria che rendono bene l’idea dell’arte che hanno pochi di dimenticare tutti e suonare solo per suonare.
Qualche difficoltà a suonare invece l’hanno avuta i Moseek per via del conflitto tra Elisa Pucci e le sue corde vocali: “siamo noi, voi tre e la faringite”. Ma a donna incazzata non si guarda in bocca, no? E allora perché porsi il problema se la grinta rimane quella, se il risultato è una maggiore aggressività, se l’elettro rock che abbiamo già avuto modo d’assaggiare rimane ben calibrato e gli intensi sguardi tra chitarre creano qualcosa di non raggiungibile da un antibiotico?
Concludono la prima serata i Lenula tra incenso, atmosfere in parte cupe, in parte solo rarefatte, tratti tipicamente blues annodati al rock nostrano e ai giochi di synth. E’ facile fare le 2,30 in casa MArteLive.
Altro giro, altra corsa per il 13 ottobre. Tra stili diversi, salti esorbitanti di tono, infatti, si alternano sul palco i finalisti della seconda serata. Aprono le danze i piemontesi Tomakin tra pop e un fresco new wave in cui amarezza e spensieratezza sono regolati nei momenti giusti e fusi ad un personalissimo nervosismo stilistico.
Lasciano poi il palco ai romani 3chevedonoilrE, loro lo riempiono di teatralità, di dramma e sarcasmo, e della potente carica dietro gli strumenti. che portano Zappis a saltare su casse, a contorcersi in ritmi vagabondi e soprattutto a dimostrare l’energia e la compattezza di una band a cui piace dare tutto di sé e capace di orchestrare una performance delirante, coinvolgente, senza farsi mancare un suggestivo finale ad effetto.
Ma è meglio non abituare troppo l’orecchio a rock e derivati perché potrebbero arrivare gruppi come i sardi Bucce di Giocca a scansare tutto a botte di funk. Tra le discutibili venature jazz, questa crew allargata rimbalza tra un “ajò” e un “aò, let’s go” senza farsi mancare niente, dal sax agli scratch, dalle treccine all’hip hop. Ad ognuno il suo a MArteLive!
E i Kutso il loro se lo sanno giocare bene. Parrucca stile Luigi XIV e occhialini goliardici per chitarra e basso. Salgono sul palco per sparare il solito show frenetico a cui hanno abituato i capitolini. A imperare è il sound personale, fin troppo trascinante, un poliglottismo sbilenco, versi (chi non ha fatto “chicchiri chicchiii” eh?) e balletti illogici, ma senza dubbio con un certo stile. E concludono con il loop demenziale di “Wanna be Startin’ Somethin’” preso in prestito dal buon Jackson.
Quando arriva il momento dei milanesi The Crocs la maggior parte del pubblico è dai Marlene Kuntz, ma ciò non scoraggia nessuno sul palco e soprattutto legittima l’istrionico Antonio Calanna, frontman della band, a cominciare lo spettacolo da una gabbia (suppongo di solito usata da avvenenti ballerine) e di schizzare continuamente sopra e sotto il palco con una energia esasperante, allestendo drammi scenici e ammiccanti gestualità su basi classic rock intrise di pop, glam e di colori sgargianti.
Tutt’altri toni e intensità quelli della partenopea JKF & la Sua Bella Bionda. Difficile evitare di ondeggiare sulle loro morbide ritmiche folk, fatte di melodie spensierate e malinconiche, e su un indie pop d’autore in cui si infrangono alla perfezione le splendide vocalità dell’unisono dei fratelli Morra: delicata e vellutata lei, agrodolce quella di lui. Una band bella da vedere, bella da ascoltare mentre tutti sul palco si fanno trasportare ad occhi chiusi da quella sottile linea jazzata.
A chiudere la serata è il puro rock dei perugini Perfect Trick: una prima linea di musica, voce e passione, in seconda posizione un’instancabile batteria scandisce questi ultimi minuti di rassicurante indie dal respiro internazionale e dal sound duro e aspro.
E non so voi, ma a me questa sala sembra quella che riesce a provocare le più diverse sensazioni per il suo fluire di shock, sorpresa, emozione, piacere e, perché no, anche di sano disappunto. Ecco, è come girare in un negozio di caramelle assaggiando un po’ di qua, un po’ di là. Non sai esattamente quale scegliere, ma torni a casa con la pancia piena!
Emiliana Pistillo
Foto di Giacomo Citro
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