Cose dell’altro mondo, regia di F. Patierno
“Via gli extracomunitari, sono violenti e ci tolgono posti di lavoro”, “non è vero, sono violenti come noi e fanno dei lavori che noi non faremmo mai, quindi non ci tolgono nessun posto”.
Questo scambio di battute è tra i cinque più ascoltati negli ultimi dieci anni in Italia tra metro, autobus, bar e altri luoghi pubblici, quella degli extracomunitari è questione tra le più dibattute, spesso anche oggetto di bieca, e soprattutto falsa, propaganda politica. E allora, come sarebbe veramente il nostro paese se da un giorno all’altro sparissero tutti gli extracomunitari? Quanto cambierebbe la nostra vita? Sicuramente più di quanto una persona oggi si possa aspettare, non rendendosi spesso conto di quanto il lavoro oscuro (anzi, in nero) degli immigrati influisca sulle nostre giornate.
A dare una risposta al quesito precedente ha voluto provarci Francesco Patierno, con il suo Cose dell’altro mondo, film ambientato a Padova, dove, in un crescente clima razzista, tutti gli extracomunitari decidono di sparire da un giorno all’altro, venendo poi seguiti pian piano in tutta Italia. A muoversi nella pellicola un istrionico Diego Abatantuono, nel ruolo dell’imprenditore capo popolo che si augura la dipartita degli stranieri dalla città con una interpretazione un po’ macchiettistica, salvo poi piangere in privato dopo che ciò accade, perché la sua fabbrica non ha più metà degli operai e il suo cuore ha perso una prostituta alla quale si era molto affezionato e della quale Abatantuono era diventato affezionato cliente. Ma Mariso Golfetti (interpretato appunto dall’attore milanese) non è l’unico personaggio pieno di contraddizioni dell’opera: Valentina Lodovini interpreta una giovane maestra che insegna ai propri alunni a non aver paura del diverso, ma resta delusa dall’abbandono del suo compagno di colore, scomparso come tutti gli altri, nonostante aspettassero un bambino; terzo protagonista è Valerio Mastrandrea nei panni di un poliziotto sui generis, che amministra la legge a modo suo e prende di petto le forme di razzismo che girano nella città, ma dentro di se è contento per quanto accaduto poiché gli permette di riprendersi la sua ex fidanzata, la Lodovini appunto, per la quale è disposto anche a fare da padre ad un figlio non suo.
Tra una contraddizione e l’altra, quindi, il film (ispirato ad Un giorno senza messicani, film del 2004 di Arau ed Arizmendi dove i messicani spariscono per un giorno dalla California) scivola via con qualche situazione divertente ed alcuna meno; lascia però a desiderare un finale che non c’è e un senso di incompiuto che rimane nello spettatore non solo per il mancato finale, ma anche per come l’argomento viene trattato. Preso atto della buona intenzione di regista e sceneggiatori, viene quasi da chiedersi se secondo il film gli extracomunitari siano in Italia utili semplicemente per lavoro e sesso e non per uno scambio culturale che potrebbe arrichire sia noi che loro.
Alan Di Forte
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