Roberta Alloisio: la voce di Genova
Roberta Alloisio debutta giovanissima al Teatro Ariston e lavora con Giorgio Gaber allo spettacolo Gli ultimi viaggi di Gulliver, oggi è al suo secondo disco, Janua, che richiama nel nome e nell’immagine di copertina la sua splendida città. L’omaggio a Genova continua con sette dei tredici brani cantati in dialetto con una voce dolce e profonda, la stessa con cui ci racconta del suo lavoro, della sua città e del suo futuro.
Il tuo nuovo lavoro si intitola Janua, cosa richiama simbolicamente?
Janua è il nome medievale di Genova e viene dal latino “porta” quindi oltre che Zena,nome dialettale della città che viene dal celtico “donna” e richiama un’immagine femminile, c’è anche questa porta da cui si parte e a cui si arriva, ma costituisce anche idealmente una forma di accoglienza verso altri popoli, altre lingue altri dialetti e questo mi sembra affascinante simbolicamente. Il nostro dialetto è un dialetto marinaro fatto quindi di termini arabi, turchi, spagnoli, greci… la nostra è una cultura davvero molto mescolata.
Come nasce Janua?
È il secondo disco dopo un’esperienza (Lengua Serpentina, NdR) con l’Orchestra Bailam, un gruppo genovese molto forte di musica balcanica e mediorientale. Dopo un disco pieno di suoni e di citazioni rispetto al mondo mediterraneo, c’era la voglia di lavorare su dei temi un po’ più larghi e, a livello musicale, dopo esserci rivolti tanto verso il mare ci è venuta la voglia di guardare un po’ verso i monti attraverso sonorità più legate anche alla musica celtica. Il lavoro sui testi, che per me è molto interessante, è sempre legato al recupero della musica tradizionale popolare e quindi stiamo parlando della musica ligure, e in particolare genovese, col fine di recuperare testi da antichi manoscritti oppure da vere e proprie canzoni popolari. Nel caso di Janua si può trovare la rielaborazione del canto tradizionale, dei canti di mare legati alla vita dei genovesi e della Liguria ma anche poesie e manoscritti dal ‘200 in poi che vengono musicate apposta per l’occasione, quindi è un’operazione mista.
Come si colloca Janua rispetto a Lengua Serpentina nel tuo percorso artistico?
Lengua Serpentina è nato dalla collaborazione con questo gruppo all’interno del quale io sentivo di essere quasi uno strumento insieme ai loro con cui mi sono data a queste ritmiche dispari della musica balcanica e mediorientale, sacrificando un po’ quella che era la mia vocalità e un certo lavoro sulle parole e sulle melodie. In questo caso, lavorando con Fabio Vernizzi, che è un musicista che viene dalla musica classica ma ha lavorato tantissimo sul jazz, abbiamo lavorato su temi più larghi, più cantabili, dove anche vocalmente io potessi esprimere di più quello che è il mio percorso. Io, infatti, vengo dalla canzone d’autore, dal teatro quindi mi faceva piacere esplorare un po’ di più questo tipo di vocalità e di rapporto con le parole.
L’incontro con Fabio Vernizzi ha influenzato molto le sonorità di questo tuo secondo disco, com’è nata questa collaborazione?
È nata perché ho sentito un suo lavoro molto bello, Maya, e mi sembrava interessante questa contaminazione tra il jazz e qualcosa che sfiora la musica antica. Mi sembrava giusto per staccare in maniera chiara con questa seconda esperienza, definire ulteriormente il mio passaggio,il mio cambiamento rispetto a quello che era stato Lengua Serpentina. Lui ha collaborato molto anche con i Birkin Tree, un gruppo di musica celtica irlandese molto importante che gira tutto il mondo. Mi piaceva quindi dopo tanta ricerca sul rapporto della Liguria col mare, guardare ad altre radici. Ad esempio il nome di Genova in dialetto è Zena e viene dal celtico donna quindi c’è un pezzo di storia legato ai celti.
In Janua sono presenti molte figure femminili ognuna diversa dall’altra, c’è qualcuna a cui ti senti più legata o con cui ti identifichi di più?
A me sono molto simpatiche tutte perché il bello di lavorare a questa ricerca sulla figura femminile è che hanno stranamente tutte un nome, al di là delle figure mitologiche come la donna serpente o le venditrici di vento. Le donne del popolo hanno tutte un nome, sono Maria, Caterina e quindi in qualche modo c’è un senso di affinità e di complicità per cui le amo tutte. Idealmente mi piace molto Maria, il personaggio della “Lanterna de Zena” che è un canto antichissimo per noi genovesi. Era una signora che, nella canzone, si dice andasse vestita da uomo al porto alle tre di notte a far finta di vendere fiori. Viene da una storia vera, un aneddoto del 1700 che racconta di questa prostituta che per nascondersi si travestiva da uomo e andava nel porto di Genova. Idealmente vorrei essere la donna che chiude il cd, “Donna che apre riviere”, una strepitosa poesia di Giorgio Caproni, perché simbolicamente è una donna che apre mondi, apre le porte, l’immagine di queste vele bianche spiegate al vento è molto bella e potente.
Quanto ha influito la tua collaborazione col Teatro della Tosse di Genova sulla tua scelta di cantare in dialetto?
Decisamente molto! Tutto questo è nato più di vent’anni fa al Teatro della Tosse dove si faceva molta ricerca. Spesso si ci fermava dopo il teatro, si andavano a recuperare manoscritti quindi l’embrione della mia ricerca nasce lì perché, pur essendo per metà genovese e per metà piemontese, parlavo un po’ di dialetto in casa ma c’era un po’ di riluttanza a usarlo. Poi c’è stata l’esperienza strepitosa di De Andrè con “Creuza De Ma” che ha convinto tutti che potevamo usare il nostro dialetto e il lavoro di ricerca fatto col Teatro della Tosse mi ha suggerito, al di là del lavoro fatto da De Andrè, la possibilità di raccogliere e scavare nella nostra tradizione in maniera non retorica, non usuale.
A tuo parere, oggi le nuove generazioni sanno abbastanza delle tradizioni del luogo in cui sono nati o quantomeno cresciuti? Credi che la scuola dovrebbe dare più spazio al dialetto e alle tradizioni locali?
In generale credo non molto però siccome entriamo in campo profondamente istintivo in realtà credo che sia l’istinto a scegliere. L’importanza di lavorare sul dialetto non è tanto nel ribadire un modo di essere, di come eravamo, ma di lavorare su aspetti più profondi della personalità degli individui ed è il bello delle canzoni popolari nonché la ragione per cui se n’è attratti al punto che anche i giovani vanno, ad esempio, alla notte della taranta. C’è un movimento molto forte verso un certo recupero e non si tratta di nostalgia: una canzone popolare in 3 strofe racchiude la potenza di un film hollywoodiano perché di bocca in bocca è stata limata fino a diventare perfetta nella sua semplicità! Lì c’è la storia, la vita delle persone, è il popolo che parla e credo che questo attragga del dialetto anche quando non lo capiamo, perché spesso, soprattutto i giovani non lo capiscono.
Quando hai capito che il tuo futuro era nel canto?
Di solito le passioni nascono molto presto per cui già da bambina giocavo davanti allo specchio a far finta di essere Mina. Poi c’è uno spartiacque nella tua vita per cui provi a farlo di mestiere. Se tu non riesci a fare nient’altro e quello che è il tuo talento e la tua sensibilità vengono riconosciuti nel mondo, capisci che ce la puoi fare. Per ognuno, però, è diverso perché ci sono artisti che hanno coscienza molto presto dei loro talenti, mentre io ci ho messo tanto ad autorizzarmi anche se sono sul palco in maniera professionale da quando avevo 17 anni.
Hai conosciuto, infatti, personaggi illustri della storia della musica come Giorgio Gaber, oltre che ad essere salita su importanti palcoscenici come l’Ariston di Sanremo, c’è un aneddoto o un ricordo che hai particolarmente nel cuore?
Giorgio Gaber è una figura certamente clamorosa, uno degli artisti più alti che ci siano stati in Italia e sono stata fortunata a lavorare con lui, a vederlo lavorare dietro le quinte, a veder nascere i suoi spettacoli, le prove… ho assistito, ad esempio, alla nascita di “Io Se Fossi Dio” e ho visto come gli veniva tolta una strofa, aggiunta un’altra: era un’artista di un perfezionismo maniacale come non ne ho incontrati altri! Io ero giovane, molto selvatica, molto genovese, molto imbronciata e alle prove ero un orso. Lui era molto gentile e il giorno della prima mandò dei fiori a tutte le ragazze della compagnia. In mezzo alle mie rose c’era un bigliettino con la sua calligrafia che diceva “Qualche sorriso in più sarebbe gradito”. Lo conservo amorevolmente e devo dire che da allora ho preso a ridere molto e ogni sorriso è dedicato a lui.
Sei sia cantante che attrice, secondo la tua opinione, quali sono le differenze e i punti in comune tra le due diverse forme d’arte?
Intanto penso che sia differente il mio punto di vista rispetto a coloro che nascono attori e si dedicano solo a quello. Per me, che nasco cantante e sono attrice solo sull’onda del mio canto e dell’esperienza che ho avuto, il canto è un volo mentre la recitazione è qualcosa che in qualche modo passa di più attraverso la parte razionale. Banalmente se hai un piccolo vuoto di memoria recitando lo fai notare, se ti succede mentre canti devi andare, la canzone va, stai volando e non puoi fermarti. Sono due linguaggi molto differenti. Spesso ho trovato attori che invidiavano i cantanti perchè nel momento stesso in cui parte la musica si entra in un’altra dimensione, è come se invece la parola rimanesse un po’ di più legata a un fattore razionale anche se credo che anche i grandi attori volino altissimo!
Che progetti hai per il prossimo futuro?
Lavorare, che è la cosa più bella che ci è data laddove il lavoro corrisponde alla passione! E continuare questa ricerca su vari piani per cui ho una collaborazione con Armando Corsi, che è strepitoso e ha lavorato con Fossati. Con Corsi realizzeremo una piccola cosa che porteremo in giro e da cui nascerà anche un cd e poi ho il prossimo disco a cui sto lavorando.
Quindi ti vedremo solo come cantante?
Si, io continuo per quella strada poi amorevolmente e artigianalmente il mio lavoro prevede anche spettacoli teatrali. In fondo noi artisti non legati a una classifica e all’aspetto commerciale abbiamo assolutamente una grande libertà di scelta e possiamo fare ciò che, a seconda del nostro percorso personale, corrisponde a qualità, poesia e bellezza.
Giuditta Danzi
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