Stoop_ Freeze Frames
Che fondamentalmente è ovvio che da noi ci si riesca in pochi, a fare le robe decenti.
Scrivi una canzone perché ti va e vuoi dire quella cosa -> scopri che quella cosa l’hanno già detta in trecentosessantacinque miliardi (un miliardo di cristiani per ogni giorno dell’anno, più un rompipalle a caso per i bisestili) -> resisti alla tentazione di rivendere lo strumento e comprarti il nintendoqualcosa (anche perché quel legnaccio che t’eri accattato non ti frutterà comunque più della metà del necessario) -> studia i trecentossessantacinquemiliardipiùuno di cui sopra -> scegli da chi vuoi far finta di non copiare -> riscrivi la tua canzone perché ti va e vuoi dire quella cosa -> fai attenzione alla contemporaneità almeno quanto basta a non sembrare il revival di te stesso -> curi la forma almeno quanto il contenuto (se non di più), perché non sappiamo leggere e men che meno ascoltare, ma nessuno resiste a una paillette ben piazzata, e se ti va di culo magari qualche moscone resta incastrato nel tuo miele e scopre che volevi anche dire una cosa che magari gli apre la testa, o semplicemente che la voleva dire pure lui ma non lo sapeva -> resisti ai commenti dei puristi che non si sono mai smossi dalle loro gigisabaniche imitazioni (in genere sono amici/colleghi musicisti che hanno studiato anche loro i trecentosessantacinquemiliardipiùuno, ma sono rimasti incastrati a studiarne tre o quattro in particolare e nel frattempo si sono dimenticati di combinare un accidenti di qualcosa in vita loro, e giustamente quando il tuo lavoro glielo ricorda gli prende un mezzo coccolone e ti ricordano che devi studiare di più e diventare come loro. E non combinare un accidenti di niente in vita tua) -> fatti un culo come un secchio all life long a portare avanti e diffondere la tua musica -> resisti alle recensioni indifferenti, grigiastre, sordastre e modaiole -> riprendi dal punto 1 e ricomincia.
Il che rende lapalissiana la proporzione: di chi tenta, il 50% lascia perdere – giusto il tempo di accorgersi che va così, o resistere tot per mera tigna – e il 30% diventa uno di quegli imitatori che se li chiami così si offendono. Ma se avete ancora voglia di metter mano alle sottrazioni e frugare nel cesto della percentuale restante, tra gli altri troverete gli Stoop: la neonata Bugbite Records dà infatti alle stampe Freeze Frames, opera seconda di questo sestetto reggiano attivo dal 2003.
E sarà un vivo piacere scoprirli, perché al missaggio nitido ed esperto di Carloenrico Pinna (Perturbazione, Giardini di Mirò, MCR, Cristina Donà) si apre un disco brit rock assolutamente urbano e contemporaneo: sobrio e agile, intenso e credibile, cupo senza indulgerci su, ma solo perché lo sono anche gli oggetti e le visioni che la musica fotografa.
Li si accosta da più parti ai belgi dEUS, ma bene fanno a rivendicare una gamma di ascolti molto più variegata: loro stessi menzionano, tra gli altri, Radiohead, Bright Eyes, Midlake, Mars Volta, QOTSA e Them Crooked Vultures. Tutta roba che – da vicino ma non troppo – si sente scorrere fluidamente tra i solchi del disco (insieme ai terzultimi Interpol), tra il fragore scintillante di una “Our Modern Assaults”, l’ossessività tautologica di “Fever Is a Ghost” (probabilmente la punta assoluta di tutto il disco) o le silenziose camere iperbariche di “Remote” o “Trainwrecks”.
E soprattutto, tutta roba che parla di gente che fa esattamente il lavoro di cui sopra, mentre voi state lì a cincischiare sui polmoni di Vasco e a concionare che da noi mancano le band. Gli si deve attenzione, e un robusto sette in pagella. Che sarebbe nove, se solo iniziassero a cimentarsi con la lingua madre.
TRACKLIST:
01. Intro
02. Our modern assaults
03. Migrations
04. Machine
05. Trainwrecks
06. Fever is a ghost
07. Remote
08. 10000 bugs
09. Freeze frame
10. In the cave
11. We carry the fire
Francesco Chini
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