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The Gift_ Rebirth

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The_gift_Rebirth_125 anni. Cinque lustri. Un quarto di secolo. Un bimbominkia più dieci. Un exmuccino meno cinque (va beh, ormai facciamo anche dieci-dodici-tredici). Un babypensionato diviso due. Ho finito gli esempi. O anzi no: il lasso di tempo necessario a tornare a sentirsi in grado di dire la propria, o ancor più semplicemente tornare ad averne voglia, o un qualche cocktail delle due.


Fino al suddetto 1986 erano stati tra le promesse che – contrariamente a fondamentali stra-ovvi come Litfiba o Diaframma, e similmente a nomi meno noti come Violet Eves, Neon o Moda – il post punk/new wave nostrano non aveva mantenuto, avvolgendoli in un improvviso silenzio.
E’ quindi una gran bella sorpresa il ritorno dei The Gift: infatti, opportunamente incurante del trascorrere del tempo e della sopraggiunta omonimia con una rockband portoghese, il quartetto pescarese si riunisce nella lineup originaria e dà alla luce Rebirth (Automatic RecordsProtosound Polyproject).
Come ad assecondare un comprensibile desiderio di recuperare dopo cotanta assenza, dentro Rebirth c’è un sacco di roba: la band mette in fila quattordici vecchi master risalenti appunto a venticinque anni fa, ci aggiunge due inediti che non palesano la minima differenza col resto, e dedica il tutto alla memoria del chitarrista e cofondatore della band, lo scomparso Stefano Alici.
Ora: è raro che il risultato di simili operazioni si riveli per alcunché di diverso da una mera operazione revivalistica, pur con variabili gradienti di possibile attualizzabilità (vedi voce “contrazioni post mortem al cimitero degli elefanti”). A salvare i quasi sessanta minuti di Rebirth dalla medesima impressione è però sufficiente un solo concetto: fedeltà.

Offre una bella occasione di approfondimento, infatti, la splendida fedeltà con cui un’altra piccola fetta della torta rancida e sognante dei nostri ’80 davvero alternativi viene fotografata da questo documento.
Sì, perché tale vien di definirlo, anche stante la già citata perfetta e istintiva mimesi che i due gagliardi inediti “Desperate Dance” e “The Change” operano rispetto al resto del repertorio dei pescaresi.

Pertanto, se proprio di revival li si deve tacciare (malvezzo dal quale peraltro ci dissociamo molto volentieri), che almeno non si perda l’occasione di andare a scuola.
Non tanto di lessico dell’epoca (certo, non sono pochi i pregevoli omaggi ai Cure come agli Stooges o ai The Damned, ma per contro alzino la mano i coetanei dei The Gift che all’epoca non abbiano rifatto almeno TANTO il verso ai Joy Division) né – figuriamoci – di songwriting paraculo (anzi, a dispetto dello scarno minutaggio medio, una sana ripetitività di genere va perfino a rendere l’ascolto stoppaccioso come pollo arrosto mandato giù senza birra), ma certamente di approccio: un impianto garage bastardo quanto e come si deve, chitarracce sbrillentate e un cantato che ha appena fregato la squinzia a Sid Vicious.
Esattamente quel che aspettavate prima di infighettirvi a morte, insomma. Lezione di approccio, dunque, e di coriaceo non-invecchiamento.
E’ così che malgrado (o forse anche grazie a) la rischiosa sfida di riproporre il loro suono pari pari dalle radici, i The Gift di Rebirth si guadagnano un meritato plauso, e un’attesa relativamente fiduciosa per i futuri inediti.

I The Gift sono:
Ugo Sala: Voce
Danilo Burchielli: Chitarra
Belfino De Leonardis: Basso
Pino Petraccia: Batteria

TRACKLIST:
01.
Desperate Dance
02. The Change
03. Beautiful Toy
04. The Wind in my Head
05. The rain is like the sun
06. All of this is what reamins of You
07. White Queen
08. I Wanna be drunk with you
09. Frankie Says
10. Taxman
11. The Sphere
12. For the rest of my life
13. I said no
14. Show me Your Face
15. The Sailor
16. Searchin’ for J.

Francesco Chini

Francesco Chini, martelive, martemagazine, musica, Rebirth, Recensioni, The Gift

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